È un nuovo must della narrazione renziana, una di quelle trovate che capisci che sono state organizzate dall’alto perché ti ritornano nei dibattiti dappertutto, ogni volta, come una tiritera: «Berlinguer avrebbe votato questa riforma costituzionale» dicono i sostenitori del Sì con la miseria di chi ha bisogno di trovare testimonial frugando nel passato per nascondere la pochezza dei presenti.
Il trucco è sempre lo stesso: una veloce googlata tra i discorsi del prescelto e poi l’estrapolazione (sempre piuttosto semplicistica) di qualche frase ad effetto che possa risultare funzionale alla propaganda. E così tutti quelli che negli ultimi decenni si sono espressi contro il bicameralismo perfetto diventano direttamente sostenitori della riforma Boschi. È un trabocchetto volgare eppure rischia di funzionare e per questo vale la pena approfondire, studiare e smentire.
Pierpaolo Farina è uno dei più appassionati e preparati studiosi di Enrico Berlinguer, ha fondato il sito enricoberlinguer.it e ha pubblicato un libro su Berlinguer, il suo coraggio e le sue idee (Casa per casa, strada per strada, Melampo Editore) nel quale riporta un articolo di Berlinguer che verrà pubblicato postumo su Rinascita il 16 giugno 1984 e che rappresenta il suo testamento politico:
Ormai tutti vedono che le coalizioni che prendono vita alle spalle del Parlamento, che i governi che non vogliono e non sanno governare con e attraverso il Parlamento, che sono il prodotto di questi meccanismi e di questi metodi consunti, e divenuti anche pericolosi, non sono coalizioni realmente solidali ed efficienti. I partiti delle maggioranze delimitate che compongono quelle coalizioni stanno insieme al governo spalleggiandosi per poter conservare il loro potere sulle istituzioni e sulla società, ma ciascuno è dominato dalla paura che un altro lo scavalchi.
E allora si va alle ben note «verifiche», dopo le quali, tuttavia, quelle coalizioni restano egualmente divise, continuano a covare contrasti, dai quali possono venire o oscillazioni, incertezze e paralisi dei governi, ovvero polemiche e lacerazioni: queste ultime, però, esplodono per lo più fuori del Parlamento (negli organi di partito, nei convegni, sulla stampa).
Nel Parlamento esse o vengono artatamente coperte e dissimulate o si manifestano nella forma patologica dei «franchi tiratori». Si corre, allora, ai ripari; ma, ancora una volta, i rimedi a cui si pensa vanno prevalentemente in direzione di un indebolimento dei poteri del Parlamento.
Sicché la profonda esigenza di restituire alle istituzioni la funzionalità e il ruolo che spetta loro in una Repubblica democratica a base parlamentare viene distorta e tradita. Attraverso alcune delle «riforme» di cui si sente oggi parlare si punta a piegare le istituzioni, e perciò anche il Parlamento, al calcolo di assicurare una stabilità e una durata a governi che non riescono a garantirsele per capacità e forza politica propria.
Ecco la sostanza e la rilevanza politica e istituzionale della «questione morale» che noi comunisti abbiamo posto con tanta decisione.
Anche la irrisolta questione morale ha dato luogo non solo a quella che, con un eufemismo non privo di ipocrisia, viene chiamata la Costituzione materiale, cioè quel complesso di usi e di abusi che contraddicono la Costituzione scritta, ma ha aperto anche la strada al formarsi e al dilagare di poteri occulti eversivi (la mafia, la camorra, la P2) che hanno inquinato e condizionano tuttora i poteri costituiti e legittimi fino a minare concretamente l’esistenza stessa della nostra Repubblica.
Di fronte a questo stato di cose, di fronte a tali e tanti guasti che hanno una precisa radice politica, non si può pensare di conferire nuovo prestigio, efficienza e pienezza democratica alle istituzioni con l’introduzione di congegni e di meccanismi tecnici di dubbia democraticità o con accorgimenti che romperebbero anche formalmente l’equilibrio, la distinzione e l’autonomia (voluti e garantiti dalla Costituzione) tra Legislativo, Esecutivo e Giudiziario, e accentuerebbero il prepotere dei partiti sulle istituzioni.
Riforme delle istituzioni volte a ridare efficienza e snellezza al loro funzionamento sono certo necessarie. Ma esse a poco servirebbero se i partiti rimangono quello che sono oggi, se seguitano ad agire e a comportarsi come agiscono e si comportano oggi, se non si risanano, se non si rigenerano, riacquistando l’autenticità e la pienezza della loro autonoma funzione verso la società e verso le istituzioni.
Ecco il pensiero di Berlinguer, appunto. L’articolo di Farina è qui.