L’economista Roberto Perotti è l’autore dell’ultima stima sui più probabili risparmi derivanti dalla riforma costituzionale. Preme osservare che la nuova valutazione, pur discostandosi nei risultati da quella effettuata a tempo debito dalla Ragioneria di Stato (137 milioni a due anni dalla riforma, 161 milioni a regime vs. 49 milioni), costituisce un’altra smentita della vulgata, sostenuta in primis dagli esponenti del governo e dai sostenitori del Sì, secondo cui i risparmi si attesterebbero a 500 milioni di euro, cifra che evidentemente giova alla propaganda ma che si schianta non appena messa alla prova controfattuale.
Perotti tuttavia avvisa circa l’incertezza del risultato e prospetta uno scenario meno favorevole al governo in cui i risparmi sarebbero pari a circa 110 milioni (130 a regime). Riveste una certa importanza la definitiva archiviazione dell’argomento dei minor costi dovuti alla cancellazione – questa volta con modifica costituzionale – delle province. Infatti, «gran parte delle funzioni delle province sono già state riallocate a comuni, città metropolitane, e regioni con una legge ordinaria del 2014 (la legge “Delrio”); i dipendenti pubblici non più necessari verranno gradualmente riassorbiti da altri enti pubblici; la stessa legge ha eliminato gli emolumenti ai consiglieri provinciali. Dunque i risparmi della riforma delle province si sono già manifestati».
A nostro avviso, la stima di Perotti andrebbe rivista nei seguenti punti:
- Non è realistico pensare che ai nuovi senatori non vengano erogati i rimborsi spese. Intanto, la riforma, novellando l’articolo 69 della Costituzione, di fatto esclude i senatori dall’applicazione dell’articolo 1 e 2 della legge n. 1261 del 1965, cancellando anche la diaria. Va da sé che l’ambiguità che contraddistingue questo provvedimento rende molto difficile classificare gli altri rimborsi spesa (rimborsi forfettari per spese generali e rimborsi per l’esercizio del mandato) alla stregua della diaria, laddove essa è descritta come “il rimborso delle spese di soggiorno a Roma” e non per le spese generali. Come potrebbero i nuovi senatori esercitare il proprio mandato? Cominciamo quindi a scontare dagli 8 milioni dalla stima di Perotti circa 2,5 che verranno comunque erogati ai 100 nuovi senatori, ipotizzando che gli attuali importi elargiti per i rimborsi spesa non vengano aumentati.
- Perotti da un lato giustamente rileva che alcune spese aumenteranno in virtù dell’attribuzione al Senato del «nuovo compito di valutare le politiche economiche e territoriali del governo»; inoltre, i senatori, lavorando solo alcuni giorni al mese, necessiteranno dell’indispensabile supporto di collaboratori e segretari in misura ancor maggiore rispetto all’odierno. Ma dall’altro si spinge nella stima molto perigliosa della riduzione dei costi variabili della struttura, come ad esempio, dei costi relativi alla corrispondenza o quelli delle attività interparlamentari, oppure ancora dei costi di cerimonia e rappresentanza, con percentuali di riduzione che passano dal 50% al 10% senza una chiara fondatezza. Non è scritto da nessuna parte che questi siano obiettivi di revisione della spesa. Sono solo mere assunzioni dell’estimatore e pesano per circa il 6% del totale della stima (8,4 milioni);
- E perché mai i nuovi senatori dovrebbero rinunciare all’assicurazione? Dei 2,3 milioni di euro messi in lista come riduzione costi, occorre comunque prevedere una spesa di 730mila euro a causa dei premi pagati per i restanti 100 membri;
- Le valutazioni circa la riduzione di personale ‘per attrito’ (ovvero solo ipotizzando una ratio dei pensionamenti del 3% annuo senza reintegro), nel computo di Perotti valgono ben 24 milioni ma, al medesimo momento, si prevede un impatto sui costi del personale per le attività di studio delle politiche economiche e di assistenza preliminare al lavoro dei senatori per circa 15 milioni. Delle due l’una: o la struttura si riduce, determinando risparmi, oppure si incrementa, generando ulteriori costi. Siamo propensi a pensare che, non solo i pensionamenti verranno reintegrati, ma che addirittura i 15 milioni siano sottostimati. Intanto scorporiamo altri 24 milioni, più altri 2,4 per oneri contributivi. Anche in questo caso è necessario rilevare come non esista un piano per la revisione della spesa;
- Infine: Perotti considera l’intera spesa per trasferimenti ai gruppi parlamentari, pari a 21 milioni, totalmente cancellata. Eppure, anche questa somma fa parte di quei capitoli di spesa il cui destino non è certo. Per maggior prudenza, occorre scorporare la cifra.
- E che dire dei rimborsi elettorali? Spariranno dal bilancio del nuovo Senato oppure continueranno a persistere, magari sotto altra veste? Ancora una volta, mancando uno specifico obiettivo dichiarato, è molto aleatorio pensare di risparmiare altri 12 milioni;
- Margini di incertezza sono contenuti anche nella norma che prevede l’allineamento delle indennità dei consiglieri regionali agli “emolumenti” dei sindaci capoluogo. L’ambiguità della formulazione può pertanto suggerire che l’allineamento avverrebbe sulla cifra totale erogata ai sindaci, indennità e rimborsi compresi, generando così incrementi di costi pari a 7 milioni. Nel complesso, dovremmo pertanto scorporare questa cifra dalla stima iniziale, insieme ai mancati risparmi, pari a 17 milioni di euro. Come si può intuire, è una questione di punti di vista: possiamo assumere una scelta interpretativa favorevole ai sostenitori del Sì, oppure una diametralmente opposta. La ragione di tale variabilità risiede nel fatto che le norme così prodotte non garantiscono risultati in termini di maggiori economie;
- In definitiva, eliminate le voci prive del necessario fondamento, dei 161 milioni preventivati, siamo scesi a 69.1 milioni di euro. Limitatamente al solo Senato, dei 131 milioni di euro che l’economista indica come risultato probabile con la riforma a pieno regime, dovremmo considerare come certi solo 60 milioni di euro. Confermando in buona misura gli importi stimati dalla Ragioneria di Stato.