Regioni a statuto speciale: cosa succede con la riforma?

Una norma transitoria prevede la non applicazione del nuovo riparto di competenze fra Stato e Regioni «fino alla revisione dei rispettivi statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome».

In que­sti gior­ni tan­tis­si­mi si sono eser­ci­ta­ti sul­la discus­sio­ne ine­ren­te la rifor­ma del tito­lo V e le con­se­guen­ze che que­sta avreb­be sul­le regio­ni a sta­tu­to spe­cia­le e su quel­le a sta­tu­to ordi­na­rio. Mol­to spes­so, da ambo i fron­ti, la discus­sio­ne è avve­nu­ta con trop­pa super­fi­cia­li­tà e sen­za con­si­de­ra­re real­men­te le impli­ca­zio­ni che il voto comporta.

Que­sta rifor­ma (che per ammis­sio­ne degli stes­si pro­mo­to­ri è cen­tra­li­sta e mira a ridur­re gli spa­zi di auto­no­mia per le regio­ni) è in tota­le con­tro­ten­den­za rispet­to a quan­to ela­bo­ra­to negli ulti­mi anni dal cen­tro­si­ni­stra, inclu­sa la famo­sa pro­po­sta dell’Ulivo che pre­ve­de­va un sena­to del­le auto­no­mie in uno sta­to fede­ra­le. Le modi­fi­che intro­dot­te dal­la rifor­ma riguar­de­ran­no — se mai doves­se entra­re in vigo­re — tut­te le regio­ni, sia quel­le a sta­tu­to spe­cia­le che quel­le a sta­tu­to ordi­na­rio. D’al­tra par­te le pri­me han­no sen­so com­piu­to solo in un siste­ma regio­na­le for­te, men­tre sono desti­na­te ad esse­re mes­se in discus­sio­ne se il siste­ma regio­na­le vie­ne inde­bo­li­to, fino a diven­ta­re di fat­to inca­pa­ci di inci­de­re su tut­te le que­stio­ni che han­no a che fare con la vita del­le persone.

Il dibat­ti­to si è con­cen­tra­to sul­lo squi­li­brio che ver­reb­be intro­dot­to nel testo costi­tu­zio­na­le tra le regio­ni a sta­tu­to spe­cia­le e quel­le a sta­tu­to ordi­na­rio, in par­ti­co­la­re in meri­to all’applicazione dell’articolo 117 ed alla vaga, quan­to insi­dio­sa, clau­so­la di sal­va­guar­dia pre­di­spo­sta dal com­ma 3 dell’art. 39 del­la leg­ge di rifor­ma. Uno dei pro­ble­mi è rile­va­bi­le nel­la nor­ma tran­si­to­ria che pre­ve­de la non appli­ca­zio­ne del nuo­vo ripar­to di com­pe­ten­ze fra Sta­to e Regio­ni deli­nea­to dal­la rifor­ma alle Regio­ni a sta­tu­to spe­cia­le e alle Pro­vin­ce auto­no­me di Tren­to e di Bol­za­no, «fino alla revi­sio­ne dei rispet­ti­vi sta­tu­ti sul­la base di inte­se con le mede­si­me Regio­ni e Pro­vin­ce auto­no­me». Que­sta tute­la (intro­dot­ta per garan­tir­si i voti del grup­po del­le Auto­no­mie al Sena­to, essen­zia­li per l’approvazione del­la rifor­ma) è tut­ta­via mol­to debo­le. Le Regio­ni a sta­tu­to spe­cia­le dovran­no infat­ti, come pre­vi­sto nel testo, rive­de­re i pro­pri sta­tu­ti attra­ver­so un’in­te­sa che poi pas­se­rà comun­que al vaglio del Par­la­men­to. Gli sta­tu­ti spe­cia­li sono infat­ti leg­gi costi­tu­zio­na­li, sul­le qua­li l’ultima paro­la spet­ta al Par­la­men­to, vero tito­la­re del pote­re di revi­sio­ne costi­tu­zio­na­le. È legit­ti­mo aspet­tar­si, quin­di, un cli­ma in cui entram­bi i rami del Par­la­men­to spin­ge­reb­be­ro per limi­ta­re anche i pote­ri del­le regio­ni a sta­tu­to spe­cia­le. Ovvia­men­te alla Came­ra la mag­gio­ran­za gover­na­ti­va è assi­cu­ra­ta dall’Italicum, ma è pra­ti­ca­men­te scon­ta­to che l’unico vero inte­res­se ter­ri­to­ria­le nel nuo­vo Sena­to dei cen­to che pos­sa esse­re con­di­vi­so dai rap­pre­sen­tan­ti dei diver­si grup­pi poli­ti­ci pro­ve­nien­ti dal­le regio­ni ordi­na­rie sia pro­prio quel­lo di nor­ma­liz­za­re le auto­no­mie speciali.

Met­ten­do tran­quil­li colo­ro che (in ulti­mo Ainis sul Cor­rie­re) vedo­no una blin­da­tu­ra del­le auto­no­mie spe­cia­li solo per­ché il gover­no ha con­trat­ta­to una clau­so­la di sal­va­guar­dia in cam­bio di una nor­ma­liz­za­zio­ne diretta.

In tan­ti sosten­go­no che una pos­si­bi­li­tà sareb­be quel­la di non modi­fi­ca­re gli sta­tu­ti  (anche Ainis) ma que­sto è sem­pli­ce­men­te impos­si­bi­le visto che gli sta­tu­ti con­ten­go­no nor­me in pale­se con­tra­sto con la pro­po­sta di revi­sio­ne del­la car­ta che votia­mo il 4 dicem­bre.

In chiu­su­ra, mi pare che a tut­ti sfug­ga il vero tema in agen­da: in un’Eu­ro­pa in cui tan­tis­si­mi pae­si aumen­ta­no il decen­tra­men­to per vin­ce­re le spin­te sepa­ra­ti­ste del­le regio­ni noi, in tota­le con­tro­ten­den­za, varia­mo una rifor­ma cen­tra­li­sta ed accen­tra­tri­ce. Il tema non riguar­da le sole auto­no­mie spe­cia­li ma il regio­na­li­smo ita­lia­no ed i livel­li inter­me­di di gover­no. La vera scel­ta da fare era met­te­re ordi­ne al fede­ra­li­smo intro­dot­to nel tito­lo V, amplian­do le com­pe­ten­ze e chie­den­do che venis­se­ro eser­ci­ta­te in modo cor­ret­to sen­za spre­chi e pre­mian­do le regio­ni vir­tuo­se. Ciò avreb­be por­ta­to ad un Sena­to real­men­te fede­ra­le, con un vin­co­lo di man­da­to e con un sen­so poli­ti­co for­te. Oggi ci ritro­via­mo un Sena­to pastic­cia­to, un tito­lo V rifor­ma­to male ed una nuo­va deri­va cen­tra­li­sta di cui fran­ca­men­te non si sen­ti­va il bisogno.

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