In questi giorni di grandi movimenti (apparenti o reali che siano) a sinistra, i commentatori sembrano ritenere quasi unanimemente che Renzi, dopo aver vinto il congresso del PD, si troverà di fronte a un bivio: allearsi con Alfano, o con Pisapia.
Ovviamente non è un fatto personale, si usano queste due figure come sbrigativo simbolo rappresentativo di una certa area politica. È , infatti, abbastanza evidente che il PD non sarà in grado di essere autosufficiente (come non è mai stato) per formare una maggioranza di governo, e dovrà perciò allearsi.
Ma a questa prima parte dell’analisi, abbastanza condivisibile, ne segue una che davvero è difficilmente comprensibile.
Si dice, infatti, che Renzi si troverà quindi a un bivio, costretto a scegliere se correre alle elezioni con un cartello neo centrista che guarda a destra, o con un classico centro-sinistra.
Questo schema non tiene conto di una possibilità che appare invece ben più probabile: Renzi non sceglierà affatto, per lo meno non prima delle elezioni. E probabilmente nemmeno dopo, per due ragioni molto semplici.
La prima ragione è che non sta scritto da nessuna parte che la prossima legge elettorale (a proposito, ne avete più sentito parlare?) dia adito a coalizioni elettorali: se il premio di maggioranza dovesse restare alla lista e non alla coalizione, che ragione ci sarebbe di fare coalizioni prima del voto? Renzi potrebbe scegliere con chi fare il governo dopo le elezioni, sulla base di rapporti di forza reali e non supposti e senza essersi “legato le mani” preventivamente.
La seconda ragione dovrebbe essere persino più evidente. Se anche ci dovessero essere le coalizioni, cosa vieterebbe a Renzi di allearsi con Alfano dopo le elezioni, anche essendosi presentato con una coalizione di centro-sinistra? È estremamente probabile che nemmeno una coalizione riesca a raggiungere un consenso tale da avere una maggioranza sia alla Camera che al Senato. E allora, per il bene del Paese, ovviamente, Renzi dovrà ergersi a collante dei responsabili che ancora una volta si dovranno unire per fare da argine al populismo e dare all’Italia le urgentissime riforme eccetera eccetera.
Impossibile? È già successo, e non molto tempo fa: nel 2013. Si usciva da un governo di larghe intese, il PD si presentò con una coalizione di centrosinistra, ma strizzando l’occhio al blocco centrista. Dopo la non-vittoria, rapidamente si formò un governo tra il PD e il centrodestra. E via via con qualche pezzetto della sinistra più “responsabile”, appunto.
Anche in quel caso il PD in teoria aveva scelto SEL, non Scelta Civica, e di certo non Alfano. Prese un largo premio di maggioranza alla Camera in virtù di quella scelta, dato che avrebbe preso molti meno voti presentandosi con uno schema da larghe intese. Eppure.
Qualcuno sa spiegarmi cosa impedirebbe a questo schema di riproporsi?
Ah, ecco. Mi pareva.
Ma oltre alla ragione di contesto (legge elettorale) e a quella di tattica (cercare sponda a sinistra), esiste una ragione politica, che spinge a propendere per questa ipotesi.
Nelle cose che Renzi rivendica c’è moltissimo Alfano, Sacconi e Lupi. E non le ha vissute con fastidio, il Pd. Anzi. Ha spiegato che era giustissimo fare il Jobs Act, che il contante andava liberalizzato, che le grandi opere e pure il ponte sullo Stretto non era affatto un’idea sbagliata. Non è, come ha ricordato spesso Civati, l’Alfano fuori che ci preoccupa, ma l’Alfano introiettato.
Non si capisce, quindi, perché il PD dovrebbe rinunciare a riproporre uno schema che ritiene non solo inevitabile, ma politicamente validissimo.
E allora, ancora una volta, l’unica scelta vera spetta agli altri: accettare di far parte di questo gioco all’equivoco, o costruire un’alternativa?