Rettificazione di sesso e legge sull’omotransfobia

Quando un Tribunale accoglie una domanda diretta alla rettificazione di attribuzione di sesso, la dispone ordinando all’Ufficio Anagrafe la necessaria modificazione, determinando la corrispondenza fra una situazione di fatto, accettata e socialmente acquisita, e una situazione di diritto.

Quan­do un Tri­bu­na­le acco­glie una doman­da diret­ta alla ret­ti­fi­ca­zio­ne di attri­bu­zio­ne di ses­so, la dispo­ne ordi­nan­do all’Ufficio Ana­gra­fe la neces­sa­ria modi­fi­ca­zio­ne, deter­mi­nan­do la cor­ri­spon­den­za fra una situa­zio­ne di fat­to, accet­ta­ta e social­men­te acqui­si­ta, e una situa­zio­ne di dirit­to. Ciò che non tut­ti san­no, però, è che gra­zie alla sen­ten­za del­la Cor­te Costi­tu­zio­na­le n. 221/2015 que­sto per­cor­so, per quan­to anco­ra lun­go e fati­co­so, può avve­ni­re anche sen­za la neces­si­tà di un’operazione chi­rur­gi­ca. E la let­tu­ra di que­sta sen­ten­za, che segue e inte­gra quel­la del­la Cor­te di Cas­sa­zio­ne n. 15138/2015, per­met­te di affron­ta­re con mag­gio­re sere­ni­tà anche l’infuocato dibat­ti­to di que­sti ulti­mi gior­ni sul­la leg­ge che mira a con­tra­sta­re l’omotransfobia. La Cor­te Costi­tu­zio­na­le, nell’affrontare l’argomento (cioè la neces­si­tà del­la pre­via ope­ra­zio­ne chi­rur­gi­ca, fino ad allo­ra pre­vi­sta, per la ret­ti­fi­ca­zio­ne ana­gra­fi­ca) esor­di­sce dicen­do: 

La dispo­si­zio­ne in esa­me costi­tui­sce l’approdo di un’evoluzione cul­tu­ra­le ed ordi­na­men­ta­le vol­ta al rico­no­sci­men­to del dirit­to all’identità di gene­re qua­le ele­men­to costi­tu­ti­vo del dirit­to all’identità per­so­na­le, rien­tran­te a pie­no tito­lo nell’ambito dei dirit­ti fon­da­men­ta­li del­la per­so­na (art. 2 Cost. e art. 8 del­la CEDU). Come rile­va­to, infat­ti, da que­sta Cor­te nel­la sen­ten­za n. 161 del 1985, la leg­ge n. 164 del 1982 acco­glie «un con­cet­to di iden­ti­tà ses­sua­le nuo­vo e diver­so rispet­to al pas­sa­to, nel sen­so che ai fini di una tale iden­ti­fi­ca­zio­ne vie­ne con­fe­ri­to rilie­vo non più esclu­si­va­men­te agli orga­ni geni­ta­li ester­ni, qua­li accer­ta­ti al momen­to del­la nasci­ta ovve­ro “natu­ral­men­te” evo­lu­ti­si, sia pure con l’ausilio di appro­pria­te tera­pie medi­co-chi­rur­gi­che, ma anche ad ele­men­ti di carat­te­re psi­co­lo­gi­co e socia­le. Pre­sup­po­sto del­la nor­ma­ti­va impu­gna­ta è, dun­que, la con­ce­zio­ne del ses­so come dato com­ples­so del­la per­so­na­li­tà deter­mi­na­to da un insie­me di fat­to­ri, dei qua­li deve esse­re age­vo­la­to o ricer­ca­to l’equilibrio, pri­vi­le­gian­do ‒ poi­ché la dif­fe­ren­za tra i due ses­si non è qua­li­ta­ti­va, ma quan­ti­ta­ti­va ‒ il o i fat­to­ri domi­nan­ti […]. La leg­ge n. 164 del 1982 si col­lo­ca, dun­que, nell’alveo di una civil­tà giu­ri­di­ca in evo­lu­zio­ne, sem­pre più atten­ta ai valo­ri, di liber­tà e digni­tà, del­la per­so­na uma­na, che ricer­ca e tute­la anche nel­le situa­zio­ni mino­ri­ta­rie ed ano­ma­le». 

Solo que­sto baste­reb­be per chiu­de­re ogni discus­sio­ne con chi, inve­ce, ritie­ne anco­ra che la “discri­mi­nan­te” di una discri­mi­na­zio­ne, o meglio, nel­la spe­cie, di una vio­len­za aggra­va­ta da una discri­mi­na­zio­ne, deb­ba esse­re il ses­so in sen­so ana­gra­fi­co, o peg­gio, in sen­so ana­to­mi­co. Chi sostie­ne, come Fran­ce­sca Izzo, che “Con que­sta espres­sio­ne (iden­ti­tà di gene­re) si sosti­tui­sce l’i­den­ti­tà basa­ta sul ses­so con un’i­den­ti­tà basa­ta sul gene­re dichia­ra­to. Come scri­via­mo nel­la let­te­ra, attra­ver­so ‘l’i­den­ti­tà di gene­re’ la real­tà dei cor­pi ‑in par­ti­co­la­re quel­la dei cor­pi fem­mi­ni­li- vie­ne dis­sol­ta. Il ses­so non si can­cel­la.” evi­den­te­men­te non tie­ne con­to di que­sta evo­lu­zio­ne (e cita­re J.K. Row­ling non è mol­to rile­van­te posto che si inten­de­rà di magia, ma è abba­stan­za dub­bio che sia infor­ma­ta del­la giu­ri­spru­den­za del­la nostra Cor­te Costi­tu­zio­na­le e del­la Cas­sa­zio­ne).  Per­ché sem­pli­ce­men­te non è così, ci sia­mo evo­lu­ti, ma da tem­po. E pro­prio per­ché ci sia­mo evo­lu­ti, la giu­ri­spru­den­za, che cam­mi­na più velo­ce del Legi­sla­to­re, con la sen­ten­za n. 15138/2015 del­la Cor­te di Cas­sa­zio­ne cita­ta dal­la Cor­te Costi­tu­zio­na­le ha pre­ci­sa­to: 

Il ricor­so alla chi­rur­gia costi­tui­sce uno dei pos­si­bi­li per­cor­si vol­ti all’adeguamento dell’immagine este­rio­re alla pro­pria iden­ti­tà per­so­na­le, come per­ce­pi­ta dal sog­get­to. D’altra par­te, sot­to­li­nea la Cor­te di Cas­sa­zio­ne, «La com­ples­si­tà del per­cor­so, in quan­to soste­nu­to da una plu­ra­li­tà di pre­si­di medi­ci […] e psi­co­lo­gi­ci met­te ulte­rior­men­te in luce l’appartenenza del dirit­to in que­stio­ne al nucleo costi­tu­ti­vo del­lo svi­lup­po del­la per­so­na­li­tà indi­vi­dua­le e socia­le, in modo da con­sen­ti­re un ade­gua­to bilan­cia­men­to con l’interesse pub­bli­co alla cer­tez­za del­le rela­zio­ni giu­ri­di­che». 

Rima­ne così ine­lu­di­bi­le un rigo­ro­so accer­ta­men­to giu­di­zia­le del­le moda­li­tà attra­ver­so le qua­li il cam­bia­men­to è avve­nu­to e del suo carat­te­re defi­ni­ti­vo. Rispet­to ad esso il trat­ta­men­to chi­rur­gi­co costi­tui­sce uno stru­men­to even­tua­le, di ausi­lio al fine di garan­ti­re, attra­ver­so una ten­den­zia­le cor­ri­spon­den­za dei trat­ti soma­ti­ci con quel­li del ses­so di appar­te­nen­za, il con­se­gui­men­to di un pie­no benes­se­re psi­chi­co e fisi­co del­la per­so­na.  (….) La pre­va­len­za del­la tute­la del­la salu­te dell’individuo sul­la cor­ri­spon­den­za fra ses­so ana­to­mi­co e ses­so ana­gra­fi­co, por­ta a rite­ne­re il trat­ta­men­to chi­rur­gi­co non qua­le pre­re­qui­si­to per acce­de­re al pro­ce­di­men­to di ret­ti­fi­ca­zio­ne – come pro­spet­ta­to dal rimet­ten­te −, ma come pos­si­bi­le mez­zo, fun­zio­na­le al con­se­gui­men­to di un pie­no benes­se­re psi­co­fi­si­co. 

Il per­cor­so erme­neu­ti­co sopra evi­den­zia­to rico­no­sce, quin­di, alla dispo­si­zio­ne in esa­me il ruo­lo di garan­zia del dirit­to all’identità di gene­re, come espres­sio­ne del dirit­to all’identità per­so­na­le (art. 2 Cost. e art. 8 del­la CEDU) e, al tem­po stes­so, di stru­men­to per la pie­na rea­liz­za­zio­ne del dirit­to, dota­to anch’esso di coper­tu­ra costi­tu­zio­na­le, alla salute.”

Det­to in paro­le più pove­re, l’identità di gene­re è un dirit­to, e un ele­men­to costi­tu­ti­vo all’identità per­so­na­le a pie­no tito­lo inse­ri­to nei dirit­ti fon­da­men­ta­li del­la per­so­na di cui all’art. 2 del­la Costi­tu­zio­ne e all’art. 8 del­la CEDU. La cor­ri­spon­den­za fra come ci si sen­te e come si appa­re rien­tra nel dirit­to alla salu­te, coper­to anch’esso dal­la Costi­tu­zio­ne, e può esse­re per­se­gui­ta sia con stru­men­ti chi­rur­gi­ci, quan­do ciò è indi­spen­sa­bi­le, sia con stru­men­ti far­ma­co­lo­gi­ci e di assi­sten­za psi­co­lo­gi­ca, quan­do ciò è suf­fi­cien­te. E se il per­cor­so medi­co-far­ma­co­lo­gi­co e psi­co­lo­gi­co di ade­gua­men­to dell’immagine este­rio­re alla pro­pria iden­ti­tà per­so­na­le, come per­ce­pi­ta dal sog­get­to, è serio e rigo­ro­so, e accet­ta­to social­men­te (la nor­ma pre­ve­de che se vi sono un coniu­ge e dei figli que­sti sia­no par­ti neces­sa­rie del pro­ces­so per­ché pos­sa­no dire la loro in pro­po­si­to) nul­la osta all’accertamento giu­di­zia­le ed alla ret­ti­fi­ca. Ma que­sto signi­fi­ca anche che è un dirit­to a pre­scin­de­re dal­la mate­ria­le ret­ti­fi­ca. Cer­to, con una leg­ge ad hoc sareb­be più sem­pli­ce, più bre­ve, meno dispen­dio­so sia in ter­mi­ni eco­no­mi­ci (ci vuo­le pur sem­pre un’azione giu­di­zia­le) che psi­co­fi­si­ci, per­chè è un tar­lo, un dub­bio, una sospen­sio­ne, una pau­ra di non esse­re accet­ta­ti, qual­co­sa che nes­su­no può capi­re se non la vive, ma già così è. E’ già un dirit­to, di cui infat­ti si chie­de l’accertamento. E sul­la base di que­sto dirit­to che con­se­gue il dirit­to a non esse­re ogget­to di vio­len­za per il solo fat­to di esse­re quel che ci si sen­te di esse­re e quin­di si è, indi­pen­den­te­men­te dal­l’a­na­to­mia.  Per­ché lo dico­no la Costi­tu­zio­ne, la CEDU, la Cor­te Costi­tu­zio­na­le e la Cor­te di Cas­sa­zio­ne. E lo si è anche a pre­scin­de­re da una sen­ten­za che può accer­tar­lo in ogni momen­to, per­ché que­sta è una scel­ta ed un per­cor­so sog­get­ti­vo che non tut­te e tut­ti han­no la for­za di intraprendere.

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