Revenge porn: la cultura dello stupro tra chat e gruppi social

Per l'ennesima volta emerge oggi, sia dalle testimonianze delle ragazze su twitter, sia dall'articolo di Wired, la realtà delle chat di Telegram (e dei gruppi facebook) in cui uomini di ogni età postano foto di donne per esporle ai commenti e alle fantasie degli altri.

[vc_row][vc_column][vc_column_text]Per l’en­ne­si­ma vol­ta emer­ge oggi, sia dal­le testi­mo­nian­ze del­le ragaz­ze su twit­ter, sia dal­l’ar­ti­co­lo di Wired, la real­tà del­le chat di Tele­gram (e dei grup­pi face­book) in cui uomi­ni di ogni età posta­no foto di don­ne per espor­le ai com­men­ti e alle fan­ta­sie degli altri. Don­ne che sono spes­so com­pa­gne (o ex com­pa­gne), ma anche ami­che, figlie, col­le­ghe. Le loro foto pos­so­no esse­re sta­te invia­te pri­va­ta­men­te e poi fini­te in cir­co­lo per­ché qual­cu­no ha tra­di­to la loro fidu­cia, ma anche posta­te sui social, e spa­zia­no da imma­gi­ni man­da­te per con­di­vi­de­re un’in­ti­mi­tà a quel­le usa­te come foto pro­fi­lo: per chi aves­se dei dub­bi, non è la sedut­ti­vi­tà o l’a­spet­to aper­ta­men­te ero­ti­co che fan­no la dif­fe­ren­za, ma il fat­to che le don­ne nel­le foto non han­no più il con­trol­lo sul­le imma­gi­ni, sul­l’u­so che ne vie­ne fat­to e su chi e come le dif­fon­de

I nomi di que­ste chat e il tono dei mes­sag­gi che ven­go­no scam­bia­ti sono espli­ci­ti e appar­ten­go­no sen­za timi­dez­za alla cul­tu­ra del­lo stu­pro: le don­ne ven­go­no “pro­po­ste” agli altri par­te­ci­pan­ti con com­men­ti sul­le pos­si­bi­li­tà di vio­len­za e di abu­so a cui sot­to­por­le. Mol­te sono gio­va­nis­si­me, cosa che è moti­vo di van­to per chi le posta. Tut­te, soprat­tut­to, sono igna­re del­la marea di vele­no che si river­sa alle loro spal­le. Fin­ché qual­cu­no non rico­no­sce una di loro in chat, e la avver­te, o fin­ché qual­che gior­na­li­sta non ne scrive. 

Allo­ra improv­vi­sa­men­te diven­ta un argo­men­to di cui par­la­re, ma è un tas­sel­lo (per quan­to par­ti­co­lar­men­te odio­so) di una real­tà quo­ti­dia­na per le ragaz­ze e le don­ne che sono onli­ne tut­ti i gior­ni: i com­men­ti vio­len­ti sot­to qual­sia­si post scrit­to da una don­na (dagli augu­ri di stu­pro alle pro­po­ste ses­sua­li); le cosid­det­te “dick pic” invia­te in chat; i mes­sag­gi su pro­fi­li pri­va­ti e pro­fes­sio­na­li con approc­ci che se rifiu­ta­ti o igno­ra­ti spes­so dege­ne­ra­no in insul­ti e minac­ce; il vero e pro­prio stal­king. Abbia­mo impa­ra­to a cono­sce­re dei “casi di stu­dio”, che han­no por­ta­to ad azio­ni lega­li e a con­dan­ne, come quel­lo di Lau­ra Bol­dri­ni, ma ci sono mol­tis­si­me per­so­ne a cui suc­ce­de, continuamente. 

Oggi mol­te di loro ci han­no scrit­to, sapen­do che è un pro­ble­ma che cono­scia­mo e di cui abbia­mo sem­pre cer­ca­to di far­ci por­ta­vo­ci. A tut­te loro voglia­mo espri­me­re vici­nan­za, per­ché è un tema che cono­scia­mo bene, sul­la pel­le di mol­te e mol­ti di noi e per­ché sia­mo con­vin­ti che sia una que­stio­ne fon­da­men­ta­le, quel­la del modo in cui ci trat­tia­mo l’un l’al­tro e in cui trat­tia­mo le donne.

La cul­tu­ra del­la stu­pro, la giu­sti­fi­ca­zio­ne di ogni bas­sez­za con “se l’è cer­ca­ta”, il mini­miz­za­re il pro­ble­ma per­ché “gli uomi­ni sono così, cosa ti aspet­ti” sono que­stio­ni che van­no affron­ta­te e smon­ta­te per poter fer­ma­re la bat­ta­glia che si gio­ca sui cor­pi del­le don­ne e sul­la loro immagine. 

Alle don­ne che si ritro­va­no in que­sta situa­zio­ne voglia­mo dire che non sono sole. 

Nel­l’im­me­dia­to, ci sono stru­men­ti che si pos­so­no usa­re: denun­cia­re, anche sul­la base del­la leg­ge sul “Reven­ge porn”, segna­la­re il più pos­si­bi­le, per­ché non deve pas­sa­re il mes­sag­gio che chi dif­fon­de o par­te­ci­pa a que­sti grup­pi sia impu­ni­bi­le, mes­sag­gio di cui si fan­no spes­so for­ti ammi­ni­stra­to­ri e iscrit­ti. Non lascia­mo­ci sco­rag­gia­re e usia­mo tut­ti gli stru­men­ti a dispo­si­zio­ne. I social, che sicu­ra­men­te han­no un ruo­lo in que­sto feno­me­no e che dovreb­be­ro dotar­si di siste­mi più effi­ca­ci di con­tra­sto ai con­te­nu­ti vio­len­ti e ses­si­sti, per­met­to­no però anche di tro­va­re soli­da­rie­tà e di con­di­vi­de­re le pro­prie sto­rie, costruen­do una rete di espe­rien­ze con­di­vi­se e di azio­ni con­giun­te: se vole­te rac­con­tar­ci le vostre sto­rie, ce ne fare­mo portavoci.

Nel lun­go perio­do, però, la que­stio­ne va affron­ta­ta con un cam­bia­men­to pro­fon­do che può avve­ni­re solo tra­mi­te una seria edu­ca­zio­ne all’em­pa­tia e all’af­fet­ti­vi­tà, in un’ot­ti­ca fem­mi­ni­sta e di atten­zio­ne alle dif­fe­ren­ze

Un cam­bia­men­to che smon­ti il model­lo patriar­ca­le per cui la don­na (la com­pa­gna, ma anche la figlia, la sorel­la, l’a­mi­ca) è una pro­prie­tà, un ogget­to, da domi­na­re e sfruttare. 

Un cam­bia­men­to che met­ta il con­sen­so e il rispet­to reci­pro­co al cen­tro del­le rela­zio­ni. Che spo­sti la respon­sa­bi­li­tà del­la sicu­rez­za del­le don­ne nel cam­po di chi eser­ci­ta la vio­len­za di gene­re, cioè gli uomi­ni, in modo che nes­su­na si sen­ta più dire che la col­pa è sua, del­la sua posa nel­la foto, del­la sua minigonna. 

Un cam­bia­men­to che ci libe­ri tut­te e tut­ti.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

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