Stiamo attraversando un periodo storico decisamente particolare, sia per la drammaticità negli avvenimenti ma anche per la grande occasione che abbiamo di fronte: quella di immaginare e costruire un futuro diverso, ribaltando meccanismi e regole che stanno portando al collasso una società umana sempre più egoista che divora senza nessun ritegno il pianeta.
Abbiamo bisogno di una regia che sappia coordinare idee, prospettive e finanziamenti. Sì, i finanziamenti: perché l’Europa li mette a disposizione, il Governo pure, ma l’impressione è che la mano destra non sappia quello che fa la mano sinistra o che il cervello non sia connesso con tutto ciò che ci circonda per ascoltare le proteste e le grida, effetto delle disuguaglianze che stiamo creando.
Grida che sono più forti dei muri, fisici e immaginari, che stiamo costruendo in ogni parte del mondo ogniqualvolta giriamo la testa dall’altra parte davanti alla rotta balcanica, ai lager libici, ai morti nel Mediterraneo, alla devastazione dell’Amazzonia, ai profughi in cammino verso gli Stati Uniti…
Trump è solo un brutto ricordo di ieri: oggi a livello internazionale c’è bisogno di un dialogo maggiore e di una collaborazione da parte di tutti.
Anche a livello europeo e italiano c’è bisogno di un dialogo, ma soprattutto c’è bisogno di passare dalle parole ai fatti. Abbiamo perso troppo tempo dietro a chi negava l’esistenza dei cambiamenti climatici, ora non possiamo perdere ulteriore tempo a discutere di “altro”.
A leggere i discorsi di questi giorni, dove il “Conte 2” sta vivendo una crisi per colpa di Renzi, sembra che la crisi socio – climatica – ambientale non esista. C’è il vuoto nei loro discorsi a conferma del vuoto nei loro pensieri. E questo mi fa paura.
Lo vogliamo riempire questo vuoto? I ragazzi che scendono in piazza nei FFF hanno idee, proposte e progetti per riempirlo questo vuoto. Eppure li stiamo ignorando e prendendo in giro, facendo finta di ascoltarli, ma nella mente di chi decide le priorità e i pensieri sono ben altri.
E qui c’è un aspetto non trascurabile dei problemi che viviamo come paese: la distanza abissale tra i vari livelli e apparati di uno Stato. Una distanza non solo chilometrica.
Basta scorrere i social per vedere che abbiamo un Ministro dell’Ambiente che snocciola foto e slide con le cifre delle risorse nei vari settori: corsi ciclabili, dissesto idrogeologico, decarbonizzazione, lotta ai cambiamenti climatici.
Eppure, ed è più di una sensazione, si ha l’impressione che questi progetti non siano recepiti dagli enti locali tutti impegnati, come sempre del resto, in ben altri tipi di interventi e di investimenti.
Diciamoci la verità, finché i bilanci comunali saranno legati e vincolati agli oneri di urbanizzazione sarà ben difficile immaginare che i sindaci decidano di fare un investimento serio, razionale e soprattutto sostenibile per il futuro dei propri cittadini.
Ci sono esempi positivi e virtuosi dove l’impegno economico è frutto di scelte politiche ben precise, che vanno in direzione ostinata e contraria al modus operandi che ha gestito e programmato lo sviluppo territoriale dagli anni ’80 del secolo scorso fino ad oggi. Una programmazione costruita sulla falsa immagine che il suolo fosse illimitato.
C’è un secondo aspetto che però ci preoccupa. Oggi manca una visione strategica di fondo che non sia limitata ad un appuntamento elettorale, i provvedimenti hanno il fiato corto e la prospettiva è veramente limitata.
E qui sta l’errore, il corto e medio periodo degli investimenti, non ci permettono di fare il salto di qualità che oggi è fondamentale come l’aria che respiriamo.
Abbiamo risorse da spendere, ma la nostra mente è ancora ferma agli anni ’80.
Le piste o corsie ciclabili, ad esempio, sono considerate aspetti secondari per la programmazione di un comune: la priorità sono tangenziali, superstrade o centri commerciali. Scatoloni che già oggi vediamo vuoti, desolatamente vuoti nei nostri paesi.
Eppure se vi capitasse, per errore, di partecipare a una commissione comunale, sentireste tutti riempirsi la bocca di paroloni come sostenibilità o green job, e poi un secondo dopo approvare un progetto per cui la pista ciclabile è solo l’opera accessoria e non la priorità.
Va di moda, ma anche qui sembra più uno specchietto per le allodole che un vero investimento culturale, fare operazioni di “desealing”: vendute come grandi operazioni di de-pavimentazione rimangono invece solo piccoli interventi di pochi metri quadrati.
Ma non abbiamo bisogno di questo. Abbiamo bisogno di grandi investimenti per invertire la rotta, una rotta che se non cambiata, renderà più difficoltosa e complicata la vita alle generazioni future.
Per non parlare di riconversione ecologica dei grandi poli industriali del nostro paese, della transizione ecologica e della decarbonizzazione della nostra esistenza. Se di fronte a questi processi non più rinviabili, la nostra prima e unica preoccupazione è che così facendo si perderanno dei posti di lavoro (mentre la transizione ecologica e la messa in sicurezza del territorio a rischio idrogeologico sono grandi opportunità), abbiamo già perso in partenza e soprattutto continueremo a vivere arrendendoci al fatto che l’economia e lo status quo determinano tutto.
Siamo in un periodo dove le scelte non possono essere rimandate. E le scelte in politica hanno bisogno di persone all’altezza della sfida che abbiamo di fronte.
Le conseguenze delle non-scelte son per certi versi peggiori di quelle delle scelte sbagliate. E di scelte sbagliate ne abbiamo già fatte troppe.
La situazione è drammatica e non ce ne rendiamo conto: mai una generazione prima della presente ha avuto nelle sue mani la stessa decisione: se lasciar continuare la successione di generazioni o se interromperla o metterla comunque assai pericolosamente a repentaglio.
Comprendere appieno questo aspetto è fondamentale, non più rinviabile e su questo aspetto vanno prese delle decisioni!
Edward Wilson ci aiuta e ci suggerisce come prendere queste decisioni. La sua è una Road Map da seguire.
“scegliere di aumentare lo spazio attualmente dedicato alla natura, affidandogli metà della superficie della terra, così da salvarne la biodiversità”.
A mali estremi, estremi rimedi. Stiamo vivendo quella che molti definiscono come la sesta estinzione di massa. Se nelle precedenti le cause erano dovute a eventi naturali, quest’ultima è alimentata dalla nostra specie, dalle nostre attività.
La comunità scientifica nazionale e internazionale ci ha offerto tutte le condizioni teoriche per salvare il futuro della vita. Non resta che convincere i potenti del mondo a mettersi d’accordo tra loro e passare all’azione.
Noi stiamo già passando all’azione.