In Italia ci sono 14 fondazioni liriche pubbliche che gestiscono altrettanti teatri cittadini, come ad esempio la Scala di Milano, l’Arena di Verona, la Fenice di Venezia, l’Opera di Roma, il Massimo di Palermo.
Un teatro lirico è un’‘azienda’ che ha mediamente tra 200 e 300 tra cantanti, musicisti, danzatori, tecnici, costruttori di scenografie, costumisti, e naturalmente amministrativi.
Tutte insieme le 14 fondazioni costituiscono un ‘settore industriale’ nazionale che —oltre alla sua dimensione culturale— fabbrica spettacoli di opera lirica, danza e concerti. Si tratta di una delle cose che ‘vendiamo’ nel mondo e che attirano turismo di qualità in Italia.
Con un disegno di legge in discussione in Senato in questi giorni (non chiedeteci perché d’agosto), anche nella lirica come nella sanità o nell’università, lo Stato dice sostanzialmente “non voglio più occuparmene. Se ne occupino i privati”.
Non si parla apertamente di privatizzazione. Ma le infrastrutture pubbliche che costituiscono la spina dorsale del Paese vengono svuotate sino a renderle inservibili. Sino a rendere “sensata” per tutti la loro privatizzazione.
Anche nel disegno di legge sulle fondazioni liriche il mantra del “pareggio di bilancio” viene utilizzato per rinunciare a finanziare un’infrastruttura strategica del Paese come le fondazioni liriche, e potenzialmente per cedere a soggetti privati, anche esteri, teatri e monumenti che appartengono alla storia delle nostre città.
Ma in questo modo l’Italia perde un intero settore, quello della lirica e della danza, come ha fatto in passato per l’informatica, la farmaceutica, l’aeronautica. L’intero Paese si impoverisce per sempre, pochi ne beneficiano.
Si tratta di un impoverimento che colpisce non solo chi si occupa di cultura in Italia, ma l’intero settore turistico, e a cascata tutti coloro che vendono “made in Italy” nel mondo.
L’argomento del “pareggio di bilancio” non deve essere usato come foglia di fico per cedere a singoli privati gli asset strategici e le infrastrutture che servono per consentire all’intero Paese di generare ricchezza e benessere. A maggior ragione quando questi asset definiscono la nostra identità culturale.
Regalare tutti i pezzi più pregiati del nostro sistema produttivo (che magari sono anche dei monopoli naturali) a singoli privati non è una politica industriale: è un suicidio collettivo del Paese.
Il disegno di legge di riforma della lirica in discussione al Senato ha lo stesso senso di dire alla Fontana di Trevi “se non sei in grado di pagarti l’acqua e le spese di manutenzione da sola ti demolisco e ci faccio un parcheggio”. Significa non capire che finanziare la lirica italiana (e il mantenimento del patrimonio culturale in generale) è come comperare spazi pubblicitari sui giornali di mezzo mondo per promuovere l’Italia e attirarci turisti. Solo che funziona di più.