A nulla è valsa la protesta dei penalisti italiani di fronte alla scelta di porre la fiducia sul DDL sul processo penale. Il dibattito democratico ha finito comunque per restare sacrificato dalla necessità di superare conflitti di natura politica, che difficilmente si sarebbero composti vista la natura schizofrenica del DDL su principi e garanzie.
Le diverse contraddizioni contenute nel provvedimento di riforma sono evidentemente il frutto di un approccio segnato dalla mancanza di un disegno organico e dalla totale assenza di una idea di processo. Sotto certi aspetti, si pensi per esempio alla prescrizione, appare più rispondente all’esigenza di dare risposte agli umori che al problema reale in tutta la sua complessità.
In effetti, rimbombano ancora le parole della giudice di Corte d’Appello di Torino che, dovendo prosciogliere il violentatore di una bambina (ancorché condannato a 12 anni in primo grado) per intervenuta prescrizione dopo 20 anni, ha detto: “questo è un caso in cui bisogna chiedere scusa al popolo italiano”. E in effetti, per tutti, quella bambina, che ora è una donna, ha subito violenza due volte: prima dal suo aguzzino e poi dal sistema giudiziario di un Paese che ha la pretesa di definirsi civile.
Son storie e parole che colpiscono. Che ingenerano nei cittadini la disillusione e la sfiducia persino nei confronti della giustizia. Come è stato anche per la sentenza Eternit. Facile così che il tema della prescrizione diventi di immediata percezione e oggetto di campagna mediatica.
Tutto comprensibile. Un sistema giudiziario che non riesce a dare risposte alla domanda di giustizia ingenera sfiducia su tutto il sistema Paese.
Ma, da operatori del diritto, da diretti interlocutori (o almeno aspiranti tali), non possiamo dimenticare il ruolo di responsabilità affidato ai professionisti del sistema penale italiano, che si esercita principalmente nel provare a riportare la discussione in un ambito più razionale e meno confuso di quello che ci viene proposto.
E’ indubbio che, da quando è stato inserito nell’art. 111 della Costituzione il principio della ragionevole durata del processo, si è conferita dignità normativa anche al parametro cronologico. Dunque un processo che duri oltre la ragionevolezza non è più conforme ai principi costituzionali che regolano la giurisdizione.
Ma può bastare allungare i tempi della prescrizione così, semplicemente, come fa il progetto di riforma? Pippo Civati aveva affermato subito che non sarebbe bastato soltanto allungare i termini o sospendere la prescrizione dopo la sentenza. Bisognava trovare equilibrio tra speditezza e ponderatezza senza sacrificare le garanzie e assicurando la certezza del diritto. E all’esigenza di dare certezza al diritto guardava la sua proposta di interrompere la prescrizione dopo l’esercizio dell’azione penale, esplicitata ne “La condizione necessaria” e rimasta inascoltata.
“Una volta che si è deciso di procedere nei confronti di una persona e che questa è stata rinviata a giudizio, l’interesse si è manifestato e il processo dev’essere portato fino in fondo: nell’interesse delle vittime e degli imputati, ma anche nell’interesse dei magistrati e dell’ordinamento giudiziario.”
Una rivoluzione non da poco, direi. Ma non disorganica. Perché legata, nella proposta di Civati, all’introduzione di strumenti atti a garantire la ragionevole durata del processo penale senza tuttavia condurre all’estinzione del reato. E, ancora, alla necessità di investire sul servizio giustizia destinando più risorse, razionalizzando la loro allocazione e dando trasparenza e centralità al Fondo Unico Giustizia.
Si può garantire la ragionevole durata del processo andando a spulciare tutte quelle cose che dilatano i tempi per cause di inefficienze, investendo maggiormente nella informatizzazione e nella formazione oltre che in una maggiore organizzazione degli uffici giudiziari.
A cominciare dalle sedi del Sud dove il processo penale dura più che nelle sedi del Nord anche a causa della vacanza sistematica degli uffici della magistratura inquirente e giudicante. Nel primo caso l’effetto è quasi sempre il rallentamento della fase di indagine e nel secondo la conseguenza è spesso quella di dover celebrare ex novo il processo per il rinnovo del dibattimento.
Le situazioni sono molto variegate e certo non opportunamente indagate se si evita il confronto con chi il sistema giustizia lo pratica e lo vive ogni giorno.
Se l’esigenza è quella di assicurare che il processo penale dia risultati il più possibile prossimi a un’idea di giustizia, la risposta non può essere quella sbrigativa del DDL, per di più se si sottrae al dibattito il voto su una riforma nella delicata materia del processo penale, che coinvolge le garanzie di libertà costituzionali di ogni cittadino.