Una riforma della giustizia che vada oltre questi venti anni, e che parta dal ramo civile. E’ questa la parola d’ordine dei contributi ricevuti sul tema. “In Italia soffriamo la durata inaccettabile dei processi civili — attacca Agostino, del comitato Roma per Civati -. Se la decisione arriva scandalosamente tardi la tutela dei diritti è frustrata e il costo sociale è enorme. Ne derivano gravi criticità per il sistema economico e per lo sviluppo del paese: meno fiducia, meno investimenti, meno merito, più furbetti e furboni, più abusi e speculazioni”. Il bisogno di giustizia è stato frustrato in questi ultimi anni con misure parziali e disincentivanti: “la strada è quella di abbattere drasticamente la durata dei processi e dell’esecuzione delle sentenze, garantendo la tutela effettiva dei diritti, favorendo riti snelli e rapidi, prevedendo tempi stretti per la fissazione dell’udienza e per la definizione della lite, ed è perciò indispensabile riformare il processo di cognizione, lavorando perché ciascun grado non possa durare più di sei mesi, un anno nei casi più complessi. ”. Partire quindi dal potenziamento del “processo telematico, cornice dentro la quale si devono trovare soluzioni davvero innovative ed efficaci”, mentre, “nel contempo, si deve realizzare un piano straordinario per l’abbattimento dei quattro milioni di processi pendenti”.
Anche Massimiliano da Alessandria solleva questo problema, ma sollevando una speranza, partendo da una buona pratica che già fa parte del nostro sistema: “abbiamo un rito che dimostra la propria funzionalità: il processo del lavoro. Tale rito deve diventare il rito del processo civile, con il tentativo obbligatorio di conciliazione alla prima udienza a sostituire la mediazione obbligatoria. Più libertà al giudice nel formulare le domande ai testimoni e più certezza anche nei tempi di redazione delle perizie da parte dei CTU, con sanzioni pecuniarie a carico dei CTU stessi in caso di ritardi”.
“La proposta che dobbiamo fare è tanto semplice quanto radicale, come lo è tutta la nostra mozione”, scrive Giampaolo da Parma, che guarda invece all’esempio tedesco, “dove il processo di primo grado dura mediamente un anno”. Ci vuole coraggio, certo, perché in Germania, così come in Spagna, che proprio ispirandosi al “modello tedesco” ha attuato una riforma conseguendo buoni risultati, “il processo si concentra nella prima udienza dove si presentano i protagonisti, tutti, e mettono sul tavolo tutte le loro carte: documenti, testimoni, tesi giuridiche. A questo punto il Giudice ha in mano il pallino e, se crede, decide subito, oppure, al massimo, fissa un’altra udienza in assoluta autonomia. Il Giudice fa quindi discutere la causa agli avvocati che espongono le loro ragioni in diritto, e entro un termine prefissato emette la sentenza”. Ci vuole coraggio, come dicevamo, ma finalmente andremo a “incentivare e premiare il pubblico impiego”, riponendo “una grande fiducia nella magistratura, che avrebbe la direzione assoluta del processo, ma anche una grande fiducia nell’avvocatura, che si misurerebbe sulla capacità di convincere i clienti a mettersi d’accordo. Richiederebbe un salto di qualità, ma nello stesso tempo lo offrirebbe agli utenti del servizio giustizia”.
Chiude Emiliano da Cecina sottolineando il dato politico di questi dieci anni, fatti “di leggi ad personam e di prescrizioni brevi e processi lunghi, di Lodi Alfano e Lodi Schifani per i potenti, anzi per un potente, e dall’altra di leggi dure e severe con le persone più deboli, siano essi immigrati o tossicodipendenti. Sul terreno della giustizia, pertanto, sono rimaste per lo più macerie. Macerie di sistema, macerie culturali”. Ecco perché Emiliano propone “un Codice Penale minimo, dove la sanzione penale si configuri come extrema ratio rispetto a condotte che violano la legge nell’assoluta convinzione che la sanzione penale non può essere strumento di risoluzione di ogni questione sociale”, e quindi “l’abrogazione del reato di immigrazione clandestina e della Legge Fini-Giovanardi”, per approdare all’introduzione del “reato di tortura e di una legge sull’omofobia che risponda in maniera più efficace possibile alle discriminazioni e ai reati commessi a motivo dell’orientamento sessuale”. Dall’altro lato, quello dei potenti, la “rivisitazione dell’ istituto della prescrizione, una legge che introduca nell’ordinamento reato di autoreciclaggio e falso in bilancio”.