Macché reddito di cittadinanza, meglio il salario minimo legale. Lo ha detto Oscar Farinetti, il deus ex machina di Eataly, in tv alla trasmissione Circo Massimo. Il ragionamento è calzante, le cifre indicate invece no. Millecinquecento euro per tutti sarebbe uno slogan molto efficace (specie per chi guadagna meno di quella cifra), ma — lo ripetiamo - gli ascoltatori, gli elettori e i propri interlocutori in generale, non vanno trattati come gonzi.
Il salario minimo legale è da maneggiare con cura, lo scrivevamo a Gennaio in campagna elettorale, quando Matteo Renzi aveva grosso modo annunciato una misura simile a quella proposta da Farinetti ieri. Ma il livello del salario minimo deve essere adeguato, attentamente ponderato e — soprattutto — agganciato alla contrattazione collettiva (che in tal modo si rafforza, trovando un livello sotto al quale non andare).
Con Possibile avevamo indicato un criterio per la sua determinazione, stabilita al 50% del salario medio come rilevato periodicamente da ISTAT. E infine presentato una proposta di legge, l’Atto Camera n. 862 (frutto di un’ampia trattazione), al cui interno abbiamo delineato una formula equilibrata di salario minimo legale, con i giusti contrappesi per evitare che la sua introduzione generi da un lato lavoro nero e, dall’altro, costi troppo elevati per le aziende. Il tratto peculiare è il bilanciamento che il salario minimo legale trova con i minimi tabellari dei contratti collettivi, che hanno la prevalenza e diventano validi erga omnes laddove sono superiori al minimo stabilito per legge.
Sette euro l’ora sarebbe quindi la soglia di retribuzione oraria sotto alla quale nessuno possa essere pagato. Circa il 6% dei lavoratori dipendenti (dati 2014, escluso il settore agricolo, dove invece si sconfina ben al di sopra di questa percentuale), pur coperti dal contratto collettivo, oggi non riceve quella somma ma si ferma a paghe orarie decisamente inferiori. I lavoratori della Logistica, del Commercio, dei Call Center, dell’Assistenza sociale, dei Servizi e dell’Agricoltura, per le mansioni meno qualificate, ricevono paghe che variano dai 5,17 euro (previsti per talune mansioni nell’ambito dei Servizi di Informazione e Comunicazione), ai 5,82 euro (addetti ai call center del ramo Assicurazioni).
Una questione, quella della giusta paga, che si intreccia con la parità retributiva di genere: nei settori ove il divario rispetto al salario medio (14,1 euro nel 2014) è più ampio, la percentuale di donne sale dal 43% complessivo, al 61%. Ben il 21% delle lavoratrici del settore privato è esposto a basse paghe contro il 10% degli uomini (nostra elaborazione su dati ISTAT).
Sono numeri importanti, che si sommano alla crescente preminenza del lavoro intermittente, dei lavori on-demand, laddove i contratti collettivi sono completamente disapplicati e le condizioni retributive scendono in modo inesorabile sotto al livello minimo di dignità.
È un bene che si parli di salario e di giusta paga. Siamo disponibili al dibattito, sin da ora. Abbiamo i dati e una proposta da portare in dote, purché non sia il solito teatrino.