[vc_row][vc_column][vc_column_text]Ci vuole prudenza. Possiamo parlare di salario minimo legale senza buttare la proposta nella discarica delle promesse elettorali? E’ una idea da maneggiare con cura. Se usata male, potrebbe avere effetti deleteri sull’occupazione, sull’inflazione, sul lavoro nero. E in generale, sul sistema della contrattazione collettiva che, a nostro parere, deve essere mantenuta in essere.
Matteo Renzi ha promesso un salario minimo legale tra i 9 e i 10 euro l’ora. Non si è accorto che non stiamo cavalcando un toro meccanico: stiamo trattando la busta paga dei lavoratori e al tempo medesimo il costo del lavoro. Una soglia indicata senza alcuna ratio, fra 9 e 10 euro — come se fosse la stessa cosa — non va bene. Potrebbe essere molto dannosa.
Occorre da subito fissare alcuni paletti, in tema di salario minimo legale. E smetterla di giocare a chi spara il numero più grosso.
Il salario orario minimo (di seguito SOM) deve essere ponderato in modo appropriato con riferimento al salario medio (o al salario mediano): se venisse stabilito fra 9 e 10 euro, si tratterebbe di un valore fra il 64% e il 73% del salario medio, che nel 2014 era di circa 14,1 euro l’ora (ISTAT). Ci troviamo oltre quel livello critico (60%) sopra il quale è molto probabile attendersi una espulsione di lavoratori dal mercato, lavoratori che transiterebbero direttamente verso forme di lavoro irregolare, se non addirittura verso il nero. L’aumento conseguente del costo del lavoro metterebbe fuori gioco soprattutto i lavoratori più deboli, a bassa qualificazione, i precari.
La soglia che riteniamo adeguata e che eviterebbe danni è pari al 50% del salario medio, ovvero circa 7 euro. Al di sotto di questa paga oraria si trova circa il 5–6% dei lavoratori dipendenti, anche coperti da contratto collettivo. Lavoratori del comparto Logistica, del Commercio, del settore dei Trasporti, dei Servizi e dell’Assistenza sociale, laddove per talune mansioni sono previste paghe orarie inferiori a fra 5,7 e 6,5 euro.
Il salario orario minimo si configura — nella proposta di Possibile — come un sostegno dal basso alla contrattazione collettiva. Infatti, il salario orario minimo legale non può sostituire i minimi salariali derivanti dalla contrattazione collettiva, tranne in quei casi in cui evidentemente gli stessi si trovassero al di sotto della soglia legale. La conseguenza immediata di un salario orario minimo in antitesi ai CCNL sarebbe l’immediato abbandono dei contratti collettivi da parte delle aziende, con livellamento verso il basso dei salari (effetto deflattivo).
Nel corso dell’elaborazione del Manifesto di Possibile, abbiamo pensato ad un modello in cui il CCNL sia prevalente. La funzione del salario orario minimo dovrebbe così essere calibrata:
- Determinazione: il salario minimo dovrebbe essere determinato al 50% del salario orario medio come da rilevazioni periodiche ISTAT (che segnalano il livello medio dei salari come prodotto dalla dinamica della contrattazione collettiva). Dovrebbe essere differenziato regionalmente poiché il livello medio dei salari della Lombardia è generalmente più alto di quello della Sardegna e il minimo legale individuato con unica soglia nazionale potrebbe essere ininfluente per la Lombardia ed eccessivamente dannoso per la Sardegna.
- Aggiornamento: ogni due o tre anni, in modo da seguire – con un certo ritardo – la medesima dinamica di aggiornamento salariale dei CCNL;
- Validità: si applica nei casi in cui il minimo tabellare previsto dal CCNL per la mansione svolta sia inferiore al minimo definito dalla legge; in tutti gli altri casi, prevale quanto disposto dal CCNL di categoria. In definitiva, il criterio è a vantaggio del lavoratore. Abbiamo pensato ad un meccanismo strutturato su due livelli, uno nazionale ed uno regionale, sulla base di questa casistica:
Caso 1. La retribuzione oraria del CCNL è sia maggiore del SOM regionale, sia del SOM nazionale: in questo caso ha prevalenza il CCNL;
Caso 2. La retribuzione oraria del CCNL è minore del SOM regionale ma è tuttavia superiore al SOM nazionale: anche in questo caso, prevale il CCNL;
Caso 3. La retribuzione oraria del CCNL è minore sia del SOM regionale, sia del SOM nazionale: prevale il minimo fra SOM regionale e SOM nazionale.
Non è tanto il valore del salario orario minimo in sé, quanto la sua forza intrinseca, che il Gruppo Tortuga chiama effetto faro, a costituire un fattore determinante per il mercato del lavoro, anche come dissuasivo verso il lavoro nero:
Parte della letteratura (Boeri, Garibaldi and Ribeiro, 2010) interpreta questa evidenza con il fatto che il livello di salario minimo legale costituirebbe un livello di riferimento per le contrattazioni delle condizioni di lavoro anche al di fuori della legalità, se le imprese hanno potere monopsonistico anche nell’economia informale. Se considerazioni sulla “giusta remunerazione” sono rilevanti nei rapporti di lavoro, allora è possibile che il livello di salario minimo legale abbia effetti anche sui salari corrisposti per prestazioni in nero. Questo fenomeno è noto appunto come “Lighthouse effect”, “Effetto faro” (Souza and Baltar, 1980).
Un salario minimo legale si costituirebbe come pietra di paragone: se il lavoratore sapesse di essere pagato meno del minimo legale, allora sarebbe più evidente la sua condizione di sfruttamento. Una evidenza che lo orienterebbe verso altre scelte, che non quella di accettare un qualsiasi lavoro, anche a nero, pur di ricevere una qualsiasi paga.
Infine, è ravvisabile anche un altro effetto, che chiameremmo effetto trascinamento: l’adeguamento al minimo legale delle retribuzioni delle mansioni sotto soglia innescherebbe una serie di rivendicazioni salariali. La domanda sarebbe raccolta dal sindacato (intermediazione), il quale si farebbe portavoce di tale istanza ai vari livelli della contrattazione. Le organizzazioni datoriali non potrebbero offrire molta resistenza, specie se alcuni dei minimi tabellari fossero sotto al livello legale. Abbiamo tentato una stima dell’effetto di trascinamento: esso determinerebbe un aumento del salario medio dell’1,8%.
Non sono le cifre fuori mercato di Renzi, è ovvio. Ma, dopo l’esperienza del governo dei Mille giorni, dovremmo essere vaccinati, non credete?[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]