La nota dell’Ansa con cui la pagina facebook ufficiale del Salone del Libro (il sito è fermo al 17 maggio 2016, conclusione della Fiera di quest’anno) annuncia la decisione dell’Aie (Associazione Italiana Editori) di “iniziare un nuovo percorso” con la Fiera di Milano ci dice che non è una decisione dell’ultimo minuto.
Anzi, a sentire il presidente Federico Motta, la decisione di uscire dalla fondazione è stata presa “dal consiglio generale all’unanimità lo scorso 25 febbraio. Non è stato fatto finora per correttezza istituzionale visto che a Torino iniziava la campagna elettorale”.
Fa sorridere perciò chi ha già cercato di addossare la colpa di tutto al cambio di amministrazione (“Visto? Ve l’avevamo detto che sarebbero arrivati i barbari!”).
Fa sorridere anche chi riconosce che sono stati fatti degli errori negli anni, che hanno pesato sulle decisioni degli editori, così come hanno pesato le indagini: è del 13 luglio la notizia di quattro arresti per turbativa d’asta e dell’iscrizione nel registro degli indagati dell’ex assessore alla cultura Maurizio Braccialarghe.
Fa sorridere meno la scelta di aspettare il dopo elezioni per dare seguito a una decisione già presa: la correttezza istituzionale, forse ovunque, ma soprattutto a Torino, non è mai neutra ed è andata ad alimentare una campagna elettorale fatta di scenari paradisiaci e una soffocante narrazione di un buon governo che più buono proprio non si poteva, il cui fiore all’occhiello erano proprio gli eventi culturali che tutto il mondo ci invidia.
Il Salone è un esempio di quello che c’è sotto la superficie: manifestazione quasi trentennale (sarebbe l’anno prossimo), decantatissima, imprescindibile al punto che a Torino per molti è un vezzo ostentare il proprio non andarci (e poi in genere andarci di nascosto). Eppure, ogni anno un problema nuovo, dalle indagini (prima di Braccialarghe c’era stato Picchioni), alle dimissioni, alle accuse di gonfiare i numeri degli ingressi. Per arrivare alle ricorrenti proteste dei visitatori e degli espositori: il biglietto di ingresso per quella che, al netto delle conferenze (che di solito sono gratuite) a molti pare una grande libreria, i costi di affitto che non vengono coperti dalle vendite…
Non si tratta di ostacoli insormontabili, è evidente: il Salone è comunque amatissimo a Torino, non fosse altro per orgoglio di ospitare la più grande manifestazione del genere in Italia. Ci sarebbe stato bisogno di fermarsi, di ripensare, di innovare e non solo nel senso della tecnologia. Ci sarebbe stato bisogno che l’ingresso nel consiglio di amministrazione della Fondazione dei rappresentati del Mibact, avvenuto proprio quest’anno, avesse portato con sé peso specifico e strategia. Invece, da anni, il piano per il Salone è stato “l’ulteriore espansione e crescita”, per citare Giovanna Milella il giorno del suo arrivo alla guida del Salone nel 2015.
L’unica campana che venisse ascoltata quando si parlava di ripensare il Salone era quella degli ingressi, tanto che si finiva per gonfiarli, appunto, per togliere forza e spazio alle critiche. Mentre intorno – intorno ai libri, fuori dal Salone – fioriva tutta una serie di iniziative che, brillando della luce riflessa dei cinque giorni di Fiera, coinvolgono il pubblico con meno code ai cancelli e con più continuità, contando su chi è in città tutto l’anno o ci viene volentieri anche se non è maggio.
Forse, ora che la scelta pare essere obbligata, è il momento di puntare su questo: sui libri, sui lettori, su chi si ostina a produrre cultura e non eventi. Questi sono i numeri che dovrebbero espandersi e crescere, mentre ingressi e code alla biglietteria dovrebbero essere il mezzo, non il fine dell’operazione.
Ecco perché questa è l’ennesima prova che quando un’amministrazione si fa sistema perde facilmente di vista il vero scopo delle cose, e interessi e spartizioni fanno scappare tutti, come si è visto: (e)lettori e operatori.
A Torino resta il marchio “Salone del Libro”, e un progetto da rimettere insieme a partire dai “piccoli”. Piccoli editori (che per la nutrita fetta di affezionati lettori abituali al Salone erano la parte più interessante, perché difficili da trovare se non online – ora la scommessa è farlo sapere a tutti, quanto siano davvero interessanti); affitti (più) piccoli (grazie alla nuova amministrazione, questi sì); piccoli eventi che in realtà sono grandi ma non ipertrofici (che c’è una bella differenza).