[vc_row][vc_column][vc_column_text]E’ opinione comune come la votazione della Camera dei Deputati del 5 aprile 2011 rappresenti uno dei punti più bassi della politica italiana. Come tutti ricorderanno, in quell’occasione l’organo costituzionale decise a maggioranza che il 27 maggio del 2010, quando telefonava in Questura a Milano per chiedere che venisse rilasciata la minorenne Karima El Mahroug detta Ruby Rubacuori, Silvio Berlusconi fosse convinto che la stessa fosse la nipote del presidente egiziano Mubarak. Quando anche i sassi sapevano che le cose stavano ben diversamente.
Di conseguenza, essendo nell’esercizio delle proprie funzioni, non poteva essere processato per il reato comune, essendo il procedimento di competenza del Tribunale dei Ministri.
La maggioranza, compresi 59 leghisti, votò compatta in tal senso, a sprezzo del ridicolo, salvando Berlusconi ma condannando sé stessa alla dissoluzione e regalando all’opposizione, ma soprattutto a quel MoVimento nascente che la primavera successiva avrebbe cominciato a vincere le prime elezioni comunali, un formidabile argomento mediatico, utilizzato per anni.
Questa situazione sta per ripresentarsi.
A breve il Senato sarà chiamato a decidere sulla richiesta del Tribunale dei Ministri di Catania di procedere in giudizio nei confronti di Matteo Salvini «per avere, nella sua qualità di Ministro dell’Interno, abusando dei suoi poteri, privato della libertà 117 migranti di varie nazionalità giunti al porto di Catania a bordo dell’unità navale “U. Diciotti” della Guardia Costiera italiana alle ore 23.49 del 20 agosto 2018. In particolare, il Sen. Matteo Salvini, nella sua qualità di Ministro, violando le Convenzioni Internazionali in materia di soccorso in mare e le correlate norme di attuazione internazionale (Convenzione Sar, Risoluzione MSC 167–78, Direttiva SOP 009/15), non consentendo senza giustificato motivo al competente Dipartimento per la libertà civili e l’immigrazione – costituente articolazione del Ministero dell’Interno – di esitare tempestivamente la richiesta di POS (place of safety) presentata formalmente da IMRCC (Italian Maritime Rescue Coordination Center) alle ore 22.30 del 17 agosto 2018, bloccava la procedure di sbarco dei migranti, così determinando consapevolmente l’illegittima privazione della libertà personale di questi ultimi, costretti a rimanere in condizione psico-fisiche critiche a bordo della nave “U. Diciotti” ormeggiata nel porto di Catania dalle ore 23.49 del 20 agosto fino alla tarda sera del 25 agosto, momento in cui veniva autorizzato lo sbarco. Fatto commesso dall’essere stato commesso da un pubblico ufficiale e con abuso dei poteri inerenti alle funzioni esercitate, nonchè per essere stato commesso anche in danno di soggetti minori. fatto commesso in Catania dal 20 al 25 agosto 2018».
Ora, come tutti sappiamo, Salvini governa proprio con quel Movimento 5 Stelle che ha fatto della lotta ai “privilegi” parlamentari, fra cui l’immunità, uno dei propri cavalli di battaglia mediatici, e ha sempre giurato e spergiurato che mai avrebbe evitato il processo ad un parlamentare con il proprio voto.
E’ pur vero che la situazione non riguarda l’immunità ma appunto il procedimento per reati ministeriali, che ha presupposti diversi, ma la sostanza è la stessa.
Se il M5S voterà contro la richiesta, salverà dal processo Salvini.
Quello stesso Salvini che in un primo tempo, come tutti i bulli, ha chiesto sprezzantemente di essere proprio processato e che oggi invece (dopo essersi consultato con un legale, si presume) con una lettera strappalacrime al Corriere della Sera sostiene di aver agito nell’interesse del Paese e implora il Senato di votare no.
Come se l’interesse del Paese potesse consistere nel sequestro di persona di decine e decine di richiedenti asilo, in violazione del codice penale e dell’art. 10 della Costituzione (perché, ancora, se una persona ha diritto all’asilo politico e/o allo status di rifugiato non lo decide a occhio in via preventiva il ministro degli interni ma gli organi giurisdizionali preposti).
I fatti sono incontestati, le violazioni non solo sono palesi ma sono state addirittura rivendicate dal ministro.
Come si può in coscienza votare che lo stesso ha agito per difendere un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante, quando ha fatto esattamente il contrario?
Questo il dilemma grillino, e questa volta non ci sono scappatoie da far recitare al premier Conte.
Votare sì, coerentemente con i propri programmi e le promesse fatte all’elettorato, rischiando di far cadere il governo.
Votare no, perdere definitivamente la faccia, o quel che ne resta, e continuare a governare con il nipote di Mubarak, convivendo con i reati che un Tribunale non potrà più accertare, e condannando sé stessi alla definitiva dissoluzione etica (e probabilmente politica) come accadde per la maggioranza del 2011.
Insomma, a riveder le stelle o a riveder le stalle.
Fateci sapere.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]