[vc_row][vc_column][vc_column_text]In una mite giornata di Aprile come tante, se non fosse che siamo in lockdown da due mesi, è arrivata la bozza del Governo sulla regolarizzazione degli immigrati irregolari.
Una bozza che non arriva perché nei Ministeri di competenza qualcuno si è reso conto che da anni l’attuale normativa sull’immigrazione è un abominio, ma perché inizia a mancare la bassa manovalanza nei settori dell’agricoltura, dell’allevamento, della pesca e dell’acquacoltura, in conseguenza del rischio sanitario connesso alla diffusione del Covid19. E se le aziende fanno fatica a salvare i raccolti, anche Coldiretti e Confagricoltura non si sentono molto bene, guidati dalla paura di un incremento eccessivo dei prezzi dei beni di consumo della filiera agroalimentare, con relative inestimabili perdite di profitto.
Se il prezzo all’origine di un chilo di limoni si aggira intorno ai 70 centesimi di euro, per poi essere venduto sugli scaffali della Grande Distribuzione a 3 euro (o anche di più, se si parla di prodotti “bio”), con un incremento di valore aggiunto del 500%, è ovvio che il problema risiede nella redistribuzione della ricchezza lungo la filiera. O, per meglio dire, nella totale mancanza di redistribuzione. E quindi è scontato che, per garantirsi dei margini di profitto, i produttori vadano a tagliare i costi dove possono: il lavoro, con un sistema completamente sbilanciato a valle, che scarica la maggior parte dei costi e dei ricarichi sul consumatore finale.
Da qui la geniale idea: ricordarsi degli immigrati irregolari, e rendere legale la loro presenza sul territorio nazionale per far fronte all’esigenza di lavoratori per la raccolta dei prodotti agricoli, come a ribadire ancora una volta — una proposta analoga è stata avanzata dal democratico Bonaccini e dalla leghista Lorenzoni sui beneficiari del reddito di cittadinanza – che questo sia un lavoro destinato a chi non può permettersi neanche di sognare. Perché, si sa, potendo scegliere in pochi andrebbero a spaccarsi la schiena per alcune centinaia di euro al mese.
Analizzando la bozza di testo, si scopre che ci sono vincoli stringenti alla regolarizzazione: l’assunzione resta comunque limitata a un periodo determinato, e così il relativo permesso di soggiorno, vincolato al rinnovo della prestazione o alla stipula di un nuovo contratto sempre a tempo determinato.
Per gli assunti tramite questo decreto, inoltre, sembra sparire il Comma 9 dell’Articolo 22 del T.U. delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, secondo il quale “la perdita del posto di lavoro non costituisce motivo per privare il lavoratore extracomunitario ed i suoi familiari legalmente residenti del permesso di soggiorno”. Anche se i procedimenti di espulsione degli irregolari temporaneamente regolarizzati per cause di forza maggiore, tutte epidemiologiche, vengono sospesi per la durata del contratto nei suddetti settori economici la cui produzione è a rischio.
Lo spirito del decreto è questo: una volta salvati i profitti, le persone potranno rientrare nella clandestinità e potranno essere nuovamente spedite da dove sono arrivate. Chi se ne frega della vita alla quale li condanneremo. Addio, e grazie per tutta la frutta.
In tutto questo, manca completamente un’analisi sui “perché”.
Perché nessun concittadino tricolore — fatte le dovute eccezioni — si dichiara entusiasta se chiamato a svolgere quel tipo di lavoro?
Perché è stato così diffuso, fino a ora, il ricorso alla manodopera irregolare e al caporalato?
Perché non si affronta il grande problema della creazione di valore aggiunto lungo la filiera produttiva del settore agricolo?
Non veniteci a dire che questo decreto è un’ottima notizia per le persone più deboli. In questo caso, come molto spesso, il metodo eclissa il merito: prima di tutto perché si tratta di una regolarizzazione temporanea, strumentale alle difficoltà contingenti dell’ennesima lobby produttiva; e poi perché, come insegna Machiavelli, il fine e il mezzo sono intrinsecamente connessi: e non si può prescindere dall’uno o dall’altro nell’analizzare una tale proposta politica. Soprattutto se ci si ricorda dei braccianti solo ora, dopo aver ignorato per anni le condizioni igieniche e sanitarie dei luoghi in cui lavorano, la loro sicurezza, l’emergenza abitativa dei ghetti in cui vivono.
Serve una regolamentazione permanente degli stranieri attualmente irregolari, che prescinda dall’essere funzionale all’arricchimento di chi in questi settori svolge attività di impresa, lungo la strada indicata dal rispetto e dalla tutela dei lavoratori e dei diritti umani.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]