Vi ricordate la sanatoria voluta fortemente dalla ministra Teresa Bellanova durante il primo lockdown per aiutare l’emersione di lavoratori stranieri irregolari? L’approvazione di quel testo fece anche scappare qualche lacrima all’allora ministra ma nessuno allora poteva prevedere che ben altre lacrime, più abbondanti, sarebbero nuovamente sgorgate.
I risultati insoddisfacenti delle misure adottate con il cd. Decreto Rilancio del 19 maggio 2020, n. 34, articolo 103, sono evidenti a tutti gli addetti ai lavori: le domande di regolarizzazione sono state appena 207 mila a fronte di una platea potenziale di almeno 451 mila, meno del 50% secondo la stima dell’Osservatorio CPI (ma la Ragioneria di Stato ne prevedeva appena 220 mila).
Vi sono molteplici ragioni per questi risultati insoddisfacenti. La prima tra tutte è probabilmente da imputarsi alla modalità di presentazione dell’istanza, limitata temporalmente al periodo compreso tra il 1 giugno e il 15 agosto 2020. La stessa doveva essere rivolta allo Sportello Unico per l’Immigrazione (che fa capo al Ministero dell’Interno) nel caso di emersione di un rapporto di lavoro riguardante un soggetto extracomunitario, o all’INPS in tutti gli altri casi. Erano infine previsti due versamenti contributivi in forma forfettaria, uno pari a cinquecento euro per ciascun lavoratore da regolarizzare, il secondo a titolo di sanatoria retributiva, contributiva e fiscale, di importo variabile a seconda dell’ammontare evaso sino al momento dell’invio dell’istanza.
In secondo luogo, è proprio l’assenza di incentivi per i lavoratori irregolari italiani ad aver contribuito all’insuccesso. Si tratta di una tendenza storica, come scrive INPS nella nota n. 5/2020: «migranti e autoctoni reagiscono in maniera molto diversa di fronte all’incentivo all’emersione. La regolarizzazione dei lavoratori italiani ha abitualmente poco successo — l’esperienza della sanatoria 383/2001 è chiara in questo senso — con un take-up quasi nullo. Viceversa, quella dei migranti, per via dell’accesso al permesso di soggiorno, ha una presa molto maggiore».
Alla non completa configurazione del meccanismo incentivante si sommano le croniche debolezze strutturali della Pubblica amministrazione, in particolare dello Sportello Unico per l’immigrazione in capo alle Prefetture. Fin dall’inizio erano previsti affiancamenti al personale in carica ma era stata presa la strada del ricorso al lavoro in somministrazione stipulando una convenzione tra il Ministero medesimo, Manpower e Gi Group per l’assunzione di 1400 figure professionali da impiegarsi per un periodo di sei mesi. Gli ultimi 800 lavoratori interinali vedranno scadere il proprio contratto il 31 dicembre 2021. Peccato che delle 207 mila domande pervenute, ne siano state prese in carico solo un terzo. Come rivelato dal sottosegretario all’Interno, Scalfarotto, durante un recente Question Time alla Camera, 68.147 istanze hanno avuto esito positivo (32,7%), 10.757 sono state rifiutate, 1.973 sono terminate per rinuncia. Le altre sono ancora in attesa.
Il processo di regolarizzazione è stato fondamentalmente rallentato dall’impossibilità per i richiedenti di fornire taluni documenti (come ad esempio l’idoneità alloggiativa) e la stima del fabbisogno lavorativo era evidentemente non congrua rispetto all’ammontare di lavoro che la sanatoria ha creato. D’altronde, la medesima modalità di selezione del personale ha escluso sin dall’inizio qualsiasi ipotesi di regolarizzazione.
Che fare, allora? Lasciare nel limbo le istanze non ancora trattate e il percorso di regolarizzazione incompleto?
La Ministra dell’Interno dovrebbe chiarire quale sia l’intenzione del governo circa la sorte degli ottocento precari rimasti in carico presso le sedi di servizio interessate dalle procedure di regolarizzazione e delle medesime istanze sospese. L’intenzione è quella di inserire una proroga in sede di Legge di Bilancio 2022? Nel Decreto Flussi? Nel Milleproroghe? L’inefficacia del processo di emersione del lavoro irregolare ha — tra l’altro — vanificato le maggiori entrate previste che, calcolate sulle 207 mila domande ricevute, sarebbero pari a 635,8 milioni (di cui 343,7 per contributi e 291,8 per imposte), un valore ben lungi da quello potenziale, calcolato in 1,4 miliardi per almeno 451 mila regolarizzazioni.