Probabilmente no, perché nessuno ne parla. Forse anche per evitare che ci ricordiamo che le province non sono state abolite.
In base alla legge Delrio (n. 56 del 2014) – quella che non ha abolito le province ma il voto popolare per le province – infatti i consiglieri comunali e i sindaci dovranno votare per i consiglieri provinciali (o metropolitani) e i presidenti delle province (i sindaci delle città metropolitane sono automaticamente quelli del relativo comune capoluogo).
E queste elezioni si svolgono dal 28 settembre al 12 ottobre nelle diverse parti d’Italia. Perché le province, appunto, non sono state affatto abolite e neppure granché ridimensionate quanto a funzioni (continuano a svolgere importanti compiti di programmazione territoriale, a erogare servizi ai cittadini, a imporre tributi…), soltanto che i cittadini non possono più scegliere chi le amministra. La scelta è rimessa agli eletti nei comuni, o meglio ai partiti che si accordano tra loro – all’insaputa dei cittadini e senza la “fastidiosa incognita” del voto popolare – per stabilire chi andrà in provincia. E i posti, come sempre, sono ancora molto ambiti, come dimostrano molte sconfortanti vicende relative a queste strane elezioni, che si ricostruiscono con fatica proprio per il generale silenzio dei mezzi di comunicazione, con l’eccezione di qualche articolo di stampa (spinto abbastanza avanti nella foliazione).
In molti casi ci sono le larghe intese, prima maniera (non troppo diversa, purtroppo, dall’ultima, in realtà) con PD-PdL, o meglio PD-FI-NCD, più eventuali centristi. È il caso, ad esempio, di Asti, Cuneo, Torino, Brescia, Genova, Belluno, Novara e Verbania-Cusio-Ossola (nelle ultime tre almeno per il presidente). E di Taranto, come è stato raccontato.
In alcuni casi – in realtà assai limitati – perfino il M5S è entrato nei listoni, come nel caso di Ferrara, ripreso da Il Fatto.
Del resto, in omaggio all’alleanza di Governo il PD si allea sempre più spesso con NCD, anche senza (troppo) larghe intese, come avviene, ad esempio, da Varese a Rovigo a Latina.
Mentre in alcuni casi si creano fette di larghe intese con rimescolamento di esponenti dei diversi partiti coinvolti in questa sempre più stabile operazione politica. A Padova, ad esempio, il PD aggrega una parte di Forza Italia e della Lega Nord a sostegno di Enoch Soranza, mentre a Frosinone sempre il PD si spacca e va in parte a sinistra , con SEL e PSI, e in parte a destra, con NCD e Forza Italia. Del resto NCD si è invece diviso a Como, dove una parte è andata con FI e altra con il PD.
Curioso quanto accade a Pistoia con Federica Fratoni appoggiata da tutti, ma proprio tutti, dalla Federazione della Sinistra a Fratelli d’Italia. All’ultimo momento, a supporto di Fratoni si è aggiunta un’altra lista, che «pesca tra destra e sinistra» anch’essa. Quando si dice un candidato capace di unire…
Insomma è un gran pasticcio, come hanno ricordato qualche giorni fa Andrea Cuomo su Il giornale e Riccardo Ferrazza sul Il Sole-24 ore, e Annalisa Cuzzocrea su Repubblica, oltre a Messina.
Ma un dato che pare emergere con chiarezza da queste strane elezioni senza elettori, una progressiva stabilizzazione delle (più o meno) larghe intese.
Anche se ciò che più colpisce è certamente come tutto avvenga sulla testa dei cittadini. Non più elettori mentre si elegge chi li governerà a livello provinciale. Chi farà scelte che incideranno sulla loro vita.
Lo stesso, in base al disegno di legge di riforma costituzionale approvato in prima lettura dai senatori lo scorso 8 agosto, si vorrebbe avvenisse per il Senato, destinato a divenire una Camera di eletti dagli eletti (consiglieri regionali che eleggono se stessi e qualche sindaco), con accordi simili – c’è da immaginare – a quelli che si stanno verificando per le province. Con i cittadini meri spettatori. Anzi no, neppure quello.
Proprio l’opposto della strada che avevamo indicato nel chiedere una primavera italiana e poi più volte richiamato anche con tutte le iniziative sulla partecipazione a partire dal #progetto2giugno e dall’appuntamento al Politicamp. Speriamo che questa brutta esperienza delle elezioni provinciali faccia almeno ricredere la maggioranza su un Senato anche quello di eletto dagli eletti (magari all’insaputa degli elettori). Qualcuno sembra accorgersene. Chissà se – come ormai accade spesso – si piegherà alla solita logica dell’assenza di alternative, del cambiamento per il cambiamento, ormai sempre più spesso usato per togliere diritti anziché per darli. Da parte nostra certamente continueremo a chiedere che gli organi rappresentativi siano davvero tali e quindi siano eletti dai cittadini. E che il cambiamento sia quello che estende i diritti. Non che li restringe.