Invece di cercare “fallimenti” negli altri e invece di esultare per il fatto che non ci siano firme sufficienti per promuovere il referendum sulla buona scuola, il Pd farebbe meglio a guardare ai propri fallimenti. Basta leggere i giornali o ascoltare i racconti di quanti ogni giorno, alunni e insegnanti, pagano sulla propria pelle il disastro della “buona scuola”.
Da nord a sud: siamo a metà ottobre e gli istituti ancora non hanno cominciato l’anno scolastico in maniera regolare. Addirittura in alcune scuole i dirigenti scolastici hanno dovuto richiamare in servizio i pensionati per fare ordine nel caos scientifico creato da questa riforma. Non era mai successo. Senza parlare dei disagi dovuti all’algoritmo che ha mandato migliaia di insegnanti vincitori di un concorso in regioni che non avevano nemmeno indicato nella scelta delle cattedre.
Ma di cosa parla il Pd?
Lo strumento referendario è complesso e il fatto che non si siano raggiunte le firme non certifica che le persone siano a favore di una riforma. D’altra parte non tutti possono schierare la Coldiretti per raccogliere le firme, come hanno fatto loro con il referendum costituzionale. Tra l’altro parliamo di una legge che non vedeva consensi unanimi nemmeno nel Pd, tanto da costringere il Governo a mettere la fiducia anche su questo provvedimento.
Si chiama fallimento politico e sicuramente non è il mio.
Giuseppe Civati