Quando la politica cerca sempre lo slogan a effetto, non può non usarli anche quando si parla di scuola e istruzione. Da un lato, abbiamo vissuto sulla nostra pelle dei tagli drammatici. Dall’altro, siamo stati subissati dalla richiesta di eccellenza, di uniformarci ai famosi standard internazionali. In tutto questo, la ricerca del risultato attraverso il paradosso di investimenti sempre più miseri ha portato a scelte demagogiche e anti-inclusive, che ignorano la complessità del mondo in cui viviamo e le sfide a cui la scuola deve preparare (che non sono solo la ricerca di un lavoro, ma la formazione di futuri cittadini del mondo) come la reintroduzione del maestro unico e il taglio degli asili nido pubblici.
Il programma politico di Giuseppe Civati punta a una scuola capace di guidare una vera e propria rivoluzione culturale. Perché l’eccellenza e la media europea sono obiettivi sacrosanti da raggiungere, sì, ma attraverso una politica capace di programmare. Che parta dalle basi e arrivi lontano. Non solo slogan. Non solo interventi di facciata come le lavagne elettroniche (se attorno a queste lavagne tutto cade a pezzi). Bisogna contrastare, insomma, quello che per Tullio De Mauro è il fondamentale problema dell’analfabetismo funzionale. Preparare gli alunni alle sfide che arriveranno da un mondo in continua evoluzione. Le sfide di oggi non sono uguali alle sfide di ieri, per questo il maestro unico (spesso precario) non può più essere una soluzione.
Nella mozione Civati si trovano riferimenti alla questione meridionale (dove i dati sull’istruzione raggiungono dati ancora più singolari), alla questione del rapporto inversamente proporzionale tra numero dei maestri e numero di studenti (e se il maestro ha anche compiti burocratici come può rendere al meglio per gli studenti in una classe sovrappopolata?). Ma, soprattutto, Civati cerca di riportare al centro una questione fondamentale. La scuola non può e, soprattutto, non deve essere un’azienda, ma un laboratorio di formazione della società futura. Una scuola come comunità educativa. Ma questi laboratori hanno bisogno di tempo. Non dobbiamo piegare anche l’istruzione alla retorica del tutto e subito (possibilmente con pochi soldi).
Bisogna lavorare a una nuova visione. Appunto, tornare a vedere la scuola come un asset fondamentale dell’Italia di domani, non un parcheggio – spesso part-time, spesso addirittura inadeguato – per i figli. Investire sull’istruzione sempre di più, sempre meglio, per costruire quel tipo di ambiente capace di formare una nuova società che sia sempre migliore di quella che l’ha preceduta. Perché le sfide vanno accolte e affrontate, non aggirate e liquidate.