Se ci spaventa di più la plastic tax che l’emergenza climatica

La tassa sulla plastica stabilisce il principio “chi inquina paga”. È sacrosanto che la collettività venga parzialmente compensata dei danni imposti dal consumismo sfrenato e della mentalità usa-e-getta di settori privati, che non hanno certo la salute del pianeta né quella pubblica come principio cardine. 

[vc_row][vc_column][vc_column_text]La tas­sa sul­la pla­sti­ca sta­bi­li­sce il prin­ci­pio “chi inqui­na paga”. È sacro­san­to che la col­let­ti­vi­tà ven­ga par­zial­men­te com­pen­sa­ta dei dan­ni impo­sti dal con­su­mi­smo sfre­na­to e del­la men­ta­li­tà usa-e-get­ta di set­to­ri pri­va­ti, che non han­no cer­to la salu­te del pia­ne­ta né quel­la pub­bli­ca come prin­ci­pio cardine. 

La tas­sa sul­la pla­sti­ca, pla­stic tax sui gior­na­li e sui social oggi, impli­ca che il pro­dut­to­re o l’im­por­ta­to­re ver­si­no un euro per chi­lo­gram­mo di pla­sti­ca. Se pas­se­rà inden­ne la discus­sio­ne in Sena­to, scat­te­rà ad apri­le 2020. 

Sui gior­na­li è com­par­sa una leva­ta di scu­di da vari set­to­ri e filie­re: chi sostie­ne che per rien­tra­re dal­la per­di­ta eco­no­mi­ca il prez­zo sarà aumen­ta­to a val­le, a cari­co dei con­su­ma­to­ri; chi inve­ce guar­da a mon­te, gli agri­col­to­ri (mol­ta pla­sti­ca da imbal­lo fini­sce infat­ti nei repar­ti di orto­frut­ta); chi avan­za che dovreb­be esse­re la gran­de distri­bu­zio­ne orga­niz­za­ta, non il pro­dut­to­re, a ver­sa­re la gabel­la. Inol­tre, una tas­sa solo su ter­ri­to­rio ita­lia­no secon­do alcu­ni non toc­che­reb­be le impor­ta­zio­ni, andan­do così a pena­liz­za­re il made in Italy.

Sen­za con­si­de­ra­re che la nuo­va impo­sta non ha una fina­li­tà pre­ci­sa se non quel­la di fare cas­sa subi­to, dal momen­to che è desti­na­ta alla fisca­li­tà gene­ra­le come il 99% del­le tas­se ambien­ta­li in Ita­lia, sovrap­po­nen­do­si inol­tre al con­tri­bu­to CONAI (0,2 euro/kg) che inve­ce vie­ne ero­ga­to diret­ta­men­te ai Comu­ni per la gestio­ne del­la rac­col­ta differenziata. 

La Poli­ti­ca dovreb­be nel frat­tem­po anche rispon­de­re alla doman­da di come i Comu­ni ita­lia­ni stan­no usan­do que­ste risor­se, per­ché la rac­col­ta dif­fe­ren­zia­ta è tut­t’al­tro che effi­ca­ce nel nostro paese.

È scat­ta­ta anche la pole­mi­ca in mag­gio­ran­za e c’è anche chi sostie­ne, come Ren­zi e Bonac­ci­ni, che que­sta tas­sa farà per­de­re al PD le ele­zio­ni in Emi­la Roma­gna, pro­dut­tri­ce del 40% di tut­ta la pla­sti­ca da imbal­lo euro­pea (e quin­di di altret­tan­to rifiu­to) e che tro­va in que­sta regio­ne una “eccel­len­za indu­stria­le”, impie­gan­do in tut­to l’in­dot­to più di 20000 persone.

Va det­to che se la pla­sti­ca non è un pro­ble­ma da ieri, non sarà cer­to la micro­tas­sa inse­ri­ta nel­la mano­vra eco­no­mi­ca a risol­ver­lo, né a dan­neg­gia­re irre­pa­ra­bil­men­te un set­to­re che pro­ba­bil­men­te cono­sce — da tem­po — la ten­den­za mon­dia­le che ne vedrà l’i­ne­so­ra­bi­le calo. A par­ti­re dal­la Diret­ti­va Euro­pea, ope­ra­ti­va dal 2021, che met­te final­men­te al ban­do la pla­sti­ca monouso.

Negli ulti­mi mesi il livel­lo di con­sa­pe­vo­lez­za medio del­la popo­la­zio­ne si è alza­to, anche gra­zie ai diver­si atti­vi­sti che han­no pun­ta­to il faro sul pro­ble­ma del­l’in­va­sio­ne di pla­sti­ca negli ocea­ni e in luo­ghi pri­ma incon­ta­mi­na­ti. Le cam­pa­gne infor­ma­ti­ve di BBC gui­da­te da Sir David Atten­bo­rou­gh han­no inve­sti­to su serie spet­ta­co­la­ri come Our Pla­net e Blue Pla­net, foca­liz­zan­do l’at­ten­zio­ne ed edu­can­do il gran­de pub­bli­co, che ora chie­de azio­ni effi­ca­ci e radi­ca­li per con­tra­sta­re all’o­ri­gi­ne il feno­me­no, taglian­do di net­to la nostra appa­ren­te eter­na dipen­den­za dal­la plastica. 

Non si può quin­di retro­ce­de­re da una misu­ra che sep­pur spia­ce­vo­le, è un dove­ro­so pas­so avan­ti nel­l’e­du­ca­zio­ne al con­su­mo con­sa­pe­vo­le del paese.

È chia­ro che la pro­du­zio­ne di pla­sti­ca così com’è è inso­ste­ni­bi­le e va for­te­men­te rego­la­ta, poi­ché il pro­dot­to è alta­men­te dan­no­so, di scar­so valo­re uni­ta­rio e i volu­mi che richie­de per pro­dur­re red­di­to sono deva­stan­ti in ter­mi­ni di gestio­ne del rifiu­to (pen­sia­mo alle inef­fi­cien­ze del siste­ma di rici­clo) di ciclo pro­dut­ti­vo e di disper­sio­ne nel­l’am­bien­te (iso­le di pla­sti­ca nei mari, fiu­mi e spiag­ge inva­si e innu­me­re­vo­li ani­ma­li mari­ni che muo­io­no dopo lun­ghe ago­nie sono le imma­gi­ni peg­gio­ri che abbia­mo visto). 

Un ulte­rio­re appro­fon­di­men­to in meri­to al suo costo socia­le si tro­va qui.

Sareb­be for­se il caso di smet­te­re di nega­re l’e­vi­den­za. In Ita­lia oggi abbia­mo assi­sti­to ad un mesto tea­tri­no pre-elet­to­ra­le che uti­liz­za que­sta misu­ra come pro­va musco­la­re dei rap­por­ti di for­za all’in­ter­no del­la mag­gio­ran­za. Anco­ra una clas­se poli­ti­ca che di fron­te ad una vera emer­gen­za come quel­la del­la pla­sti­ca non ha il corag­gio di gui­da­re con deci­sio­ne il Pae­se ver­so la dire­zio­ne del­la tran­si­zio­ne eco­lo­gi­ca, lascian­do sole le impre­se e di con­se­guen­za i lavoratori.

Quan­do si par­la di tran­si­zio­ne eco­lo­gi­ca, di Sta­to che deve far­si bus­so­la di que­sta tran­si­zio­ne, di salu­te dei cit­ta­di­ni e del pia­ne­ta, for­se sareb­be bene ragio­na­re di inter­ven­ti siste­mi­ci e siner­gi­ci. I fon­di desti­na­ti alla ricer­ca ed all’in­no­va­zio­ne tec­no­lo­gi­ca potreb­be­ro dare gam­be a set­to­ri che han­no altri­men­ti la stra­da segna­ta e i cui posti di lavo­ro saran­no in ogget­ti­va dif­fi­col­tà nei pros­si­mi anni, pre­men­do su siner­gie tra indu­stria ed inno­va­zio­ne, accom­pa­gnan­do le impre­se ver­so una gra­dua­le ma deci­sa urgen­za alla soste­ni­bi­li­tà, dove le solu­zio­ni ven­go­no dal­le star­tup inno­va­ti­ve, con­te­stual­men­te a nuo­ve oppor­tu­ni­tà occupazionali.

Resta anco­ra da met­te­re mano, ad esem­pio, a misu­re che aiu­ti­no le impre­se attra­ver­so l’in­no­va­zio­ne e la ricer­ca. Il Sole 24 Ore ricor­da che il 30% dei fon­di per la ricer­ca 2018–2020 non sono sta­ti uti­liz­za­ti — i dati pro­ven­go­no dal­le sta­ti­sti­che sul­l’at­tua­zio­ne del Pia­no Nazio­na­le Ricer­ca nel quin­quen­nio 2015 ‑2020 – dove solo 1,7 su 2,4 miliar­di è sta­to mes­so a frutto. 

Scar­so uti­liz­zo anche per i fon­di euro­pei Hori­zon 2020, per i qua­li l’I­ta­lia ha inter­cet­ta­to solo l’8% dei fon­di dispo­ni­bi­li, la metà del­la Ger­ma­nia e die­tro Gran Bre­ta­gna, Fran­cia e Spa­gna. A fron­te di un obiet­ti­vo dichia­ra­to di inve­sti­men­to del 3% del nostro PIL in ricer­ca, ci fer­mia­mo attual­men­te al 1,35%.

Stra­te­gie da pia­ni­fi­ca­re, tut­ta­via, in tem­pi lon­ta­ni da ele­zio­ni: oggi gli atto­ri del­la sce­na poli­ti­ca ine­so­ra­bil­men­te restrin­go­no la discus­sio­ne a meri cal­co­li oppor­tu­ni­sti­ci. Cal­co­li e tat­ti­ci­smi che stron­ca­no la fidu­cia nel­la poli­ti­ca come solu­zio­ne ai pro­ble­mi, che arri­va tar­di rispet­to ad un set­to­re che in par­te si sta fati­co­sa­men­te muo­ven­do da solo — basti pen­sa­re alle eccel­len­ze nel­le bio­pla­sti­che

Cal­co­li e tat­ti­che che, fran­ca­men­te, sono la sca­to­la e non il con­te­nu­to e non inte­res­sa­no a nes­su­no del pub­bli­co, ma sol­tan­to agli atto­ri sul palcoscenico.

Chia­ra Ber­to­gal­li[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

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