“Chi prende il reddito di cittadinanza può cominciare ad andare a lavorare” nei campi per raccogliere la frutta e la verdura, visto che gli agricoltori stanno facendo fatica a trovare lavoratori per la stagione della raccolta. “Così restituisce un po’ quello che prende”. (Stefano Bonaccini, fonte TPI).
Colpisce la dichiarazione di Stefano Bonaccini, da poco riconfermato Presidente della Regione Emilia Romagna, che arriva insieme alla denuncia della Coldiretti, preoccupata dal lievitare di prezzi di frutta e verdura che potrebbero subire un aumento fino a 40 volte. Sembra, infatti, che l’epidemia di Covid-19 sul territorio nazionale, e il conseguente lockdown del Paese, oltre a creare difficoltà alle esportazioni, imponga insormontabili barriere all’accesso dei lavoratori stagionali stranieri che ogni anno popolano le nostre campagne: ne mancherebbero all’appello 200.000, secondo le stime di Coldiretti. E la conseguente carenza di manodopera per i raccolti mette in crisi tantissime aziende della filiera agroalimentare. Stupisce, inoltre, come la posizione di Bonaccini coincida perfettamente con quella di Lorenzoni, Deputata eletta nelle file della Lega, che vorrebbe mandare nei campi chi percepisce il reddito di cittadinanza per “togliere alibi a chi crede sia un bonus”. E questo non fa altro che confermare, ancora una volta, come la politica nostrana non riesca a trarre nessun insegnamento dalla crisi economica generata dalla pandemia, tutti saldi nella difesa del sistema responsabile di tante, troppe storture. Perché se c’è qualcosa che si può — e si deve — imparare da questa emergenza sanitaria e sociale è che il modello di sviluppo portato avanti fino ad oggi è fallace, se non addirittura pericoloso. E invece no: siamo ancora qui, ad alimentare un modello bastardo e sbagliato, disposti a sfruttare esseri umani fino allo schiavismo, che siano questi immigrati – che a quanto pare sono i benvenuti se strumentali al sistema — o connazionali pescati dalle fasce più deboli della popolazione. Disposti a tutto pur di tenere basso il costo del lavoro e i prezzi sul mercato. Peraltro si fa fatica ad immaginare come potrebbe essere strutturato giuridicamente il rapporto di lavoro dei percettori del reddito di cittadinanza come raccoglitori a titolo gratuito di frutta e verdura. Il reddito, che è di importo diverso a seconda delle condizioni familiari, sarebbe imputato a retribuzione? E i contributi? E se qualcuno si fa male, chi paga l’infortunio? Oppure si fa tutto in nero che tanto prendono già ben 500 euro al mese? Come sempre, si perde una grande occasione: quella per invertire un paradigma così sbagliato che dovremmo ringraziare la sfortunata congiuntura per averci dato la possibilità di ribaltarlo attuando — ad esempio — una vera e propria rivoluzione legata all’innovazione tecnologica e digitale in agricoltura. Un nuovo modello che trasformerebbe un intero settore produttivo, consentendo una riduzione delle perdite lungo le filiere e garantendo vantaggi competitivi in grado di creare valore aggiunto, ricchezza che potrebbe andare a riempire righe di budget dedicate alla retribuzione salariale. Chi ha la responsabilità di governo, a qualsiasi livello, dovrebbe puntare sull’impegno e l’educazione ad acquisti più consapevoli:che tutelino la salute di chi consuma e i lavoratori della filiera produttiva, limitando la creazione di eccedenze e sprechi che generano impatti negativi su ambiente e collettività. Pagando chi lavora salari congrui, garantendo tutele e condizioni lavorative dignitose e prodotti di qualità a prezzi accessibili. E questa sì che sarebbe una scelta coraggiosa.