L’apripista è stato Beppe Sala, convinto sostenitore del lavoro in presenza per una malcelata paura di dissesto economico dell’indotto che ruota intorno a uffici e centri affari, che su Milano ha stabilito il rientro in sede per la maggior parte della forza lavoro nel settore della Pubblica Amministrazione: si parla di circa 5000 lavoratori su 14000 che possono usufruire di forme di lavoro flessibile per un totale complessivo di 6 giorni al mese. Più o meno il 35% dei dipendenti pubblici per circa il 27% del tempo lavorato mensile.
Eppure, nell’ultimo DPCM l’indicazione è di applicare il lavoro agile per i dipendenti della Pubblica amministrazione in “almeno” il 50 per cento di coloro che possono svolgere la propria attività a distanza.
D’altra parte, il concetto fisico di ufficio ha dimostrato di poter essere superato durante il lockdown: non è più necessario, per ottenere ottime performance, lavorare in presenza. E questo avrebbe un impatto positivo sul congestionamento dei mezzi pubblici, al momento bel oltre la soglia di capienza massima che dovrebbe essere consentita per garantire la sicurezza dell’utenza.
Il Presidente della Conferenza Stato-Regioni e presidente della Regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, nei giorni scorsi ha chiesto al Governo di ripristinare la didattica a distanza nelle scuole, in modo da alleggerire il trasporto pubblico locale.
Proposta — ripresa anche da svariati Sindaci — che lascia interdetti, specialmente alla luce del fatto che bambini e ragazzi sono già stati ampiamente penalizzati nei mesi scorsi, così come la loro istruzione, mentre l’azione – per quanto lacunosa – di Ministero dalle Pubblica Istruzione e plessi scolastici ha sempre perseguito l’idea di garantire una socialità e una normalità scolastica agli studenti.
Pertanto, se l’obbiettivo è il decongestionamento del trasporto pubblico, prima di pensare di isolare nuovamente gli alunni con la DAD – con tutti i limiti e le criticità legati all’accesso ai mezzi necessari e, quindi, alle lezioni – sarebbe auspicabile incentivare le forme di lavoro agile. Raccomandazione inclusa nel sopra citato DPCM, il quale spinge fortemente affinché il lavoro da remoto venga applicato ai dipendenti della PA e a tutte le altre attività professionali per cui sia adottabile.
Anche perché, e questo lo dimentichiamo sempre, tra quelli che dovrebbero restare a casa da scuola ci sono tantissimi minorenni che non possono essere lasciati soli (fino ai 14 anni si parla di reato di abbandono di minore), con tutto quello che significa per i genitori che dovrebbero comunque ricorrere a qualche forma di lavoro flessibile oppure, peggio ancora come già avvenuto in primavera, dover scegliere di lasciare il proprio lavoro per dedicarsi alla cura dei figli. Per non parlare del fatto che questa scelta dolorosissima ricade quasi sempre sulle madri, sollevando così tutta una serie di problematiche degne di approfondimento sul gender gap e l’esclusione di genere dal mercato del lavoro, che abbiamo denunciato in passato e che purtroppo, date queste premesse, siamo certi avremo modo di approfondire nuovamente in un futuro non troppo distante.
Lo smart working deve diventare uno strumento ordinario di lavoro, e va incentivato, non limitato. Ne va anche della qualità della vita degli individui. Perdere ore in auto o su mezzi pubblici congestionati per spostarsi da casa a lavoro a scapito di un più equilibrato life balance non dovrà più essere necessario. Il futuro sarà differente solo se avremo il coraggio di immaginarlo diverso. La pandemia, tra tanti aspetti negativi, ha un lato positivo: è un’occasione che non possiamo perdere.
L’occasione per invertire il paradigma di sviluppo economico, sociale e ambientale: è uno sforzo necessario, per lottare contro la pandemia e insieme contro i cambiamenti climatici. Se allarghiamo l’inquadratura, diventa chiaro come tutto si tiene, e come soltanto analizzando e intervenendo sul sistema nella sua complessità con azioni innovative e coraggiose si potranno davvero cambiare le cose.