[vc_row][vc_column][vc_column_text]La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha rigettato un ricorso proposto dalla capitana della Sea Watch 3, Carola Rackete, e dai naufraghi ospitati dalla nave, una quarantina di persone provenienti da Niger, Guinea, Camerun, Mali, Costa D’Avorio, Burkhina Faso, e Guinea Conakry, raccolti in acque internazionali in zona SAR libica.
Il ricorso chiedeva l’applicazione dell’art. 39 del Regolamento della Corte, che prevede la possibilità per la Corte di imporre “misure provvisorie” ove ritenute necessarie nell’interesse delle parti. In pratica una procedura d’urgenza, assimilabile a quella prevista dal nostro codice di procedura civile (art. 700 c.p.c. e seguenti) o alla sospensiva del TAR. Per quanto la norma sia sintetica, le condizioni per la sua applicabilità consistono nella sussistenza di un pericolo grave ed irreparabile determinato nella situazione in essere, oltre che, ad un esame sommario, della configurabilità del diritto fatto valere.
Come si evince dal comunicato stampa diffuso dalla stessa Corte, quest’ultima ha prima esaminato la situazione di fatto, accertando come il salvataggio sia avvenuto in data 12 giugno, che la nave si sia poi spostata (legittimamente) al limite delle acque territoriali italiane, e che il successivo 15 giugno siano state fatte sbarcare 10 persone, tre famiglie con minori e donne incinte (un’altra persona veniva fatta sbarcare successivamente in ragione del suo stato di salute).
In diritto, acquisiva la pronunzia del TAR, al quale la capitana e i naufraghi si erano rivolti il 17 giugno, per chiedere la sospensiva del provvedimento ministeriale che ne vietava l’ingresso nelle acque territoriali italiane. Il TAR aveva infatti rigettato il ricorso, non ritenendo sussistenti le ragioni di eccezionale gravità ed urgenza dedotte dai ricorrenti, ritenendo non fossero a bordo altre persone rientranti nella categoria delle persone vulnerabili, oltre a quelle già sbarcate.
Da qui il ricorso alla CEDU, invocando l’art. 2 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (diritto alla vita) e l’art. 3 (divieto di trattamenti disumani e degradanti).
La Corte ha richiesto precisazioni alle parti, cioè ai ricorrenti ed al Governo, ad esempio sul numero delle persone sbarcate, sulle condizioni di chi invece era ancora a bordo. Alla luce delle risposte, ha negato la sussistenza dei presupposti per le misure provvisorie richieste.
Tuttavia nel comunicato stampa, che non contiene la motivazione, la quale non può che attenere alla situazione attuale e non al merito della vicenda, si precisa che “Le misure previste dall’art. 39 del Regolamento della Corte sono adottate nel quadro dello svolgimento del procedimento davanti alla Corte e non pregiudicano le decisioni ulteriori sull’ammissibilità o sul merito dei casi in questione. La Corte accoglie il ricorso a misure provvisorie solo a titolo eccezionale, quando i richiedenti sarebbero esposti, in assenza di tali misure, ad un rischio reale di danni irreparabili.”
Ora, anche solo l’esame del comunicato stampa è sufficiente per chiarire come non sia affatto vero che il comportamento del Governo e in particolare del ministro Salvini sia legittimo e che questo sia stato confermato dalla CEDU. La CEDU dice solo di non poter agire in via d’urgenza, cioè mentre la situazione è in atto, se non con il requisito appena citato, cioè il rischio di un danno irreparabile in assenza delle misure.
Il danno irreparabile sarebbe stato sussistente per la CEDU (ma probabilmente anche per il TAR) se i naufraghi fossero stati in pericolo di vita o in condizioni particolari (minori, donne incinte).
Quindi non ha valutato il merito, se cioè il comportamento del governo sia legittimo o illegittimo, ma solo se il proprio regolamento le consentiva di intervenire. Ovviamente la semplificazione mediatica e strumentale del ministro è stata immediata e conseguente.
Ma la valutazione della CEDU sul suo comportamento potrà avvenire solo nella procedura ordinaria, quando saranno esauriti i ricorsi giurisdizionali interni (se proposti) e se verrà nuovamente interessata della questione. Solo allora si potrà sostenere che la CEDU ha “dato ragione” a Salvini.
Quello che si può dire oggi è che le ragioni di eccezionale gravità per un provvedimento d’urgenza sussistono solo per persone malate, donne incinte o minori, ma si può anche dedurre che questo presupponga la sussistenza delle ragioni di merito invocate dai naufraghi e che solo alcune o alcuni fra essi siano anche in situazione di grave ed irreparabile pericolo.
La sussistenza del diritto, quindi in questo caso delle violazioni agli artt. 2 e 3 della Convezione, infatti, è presupposto del provvedimento tanto quanto la sussistenza del pericolo grave ed irreparabile. Cioè a dire, la CEDU ha dato implicitamente ragione, nel merito, a Carola Rackete ed ai naufraghi, non a Salvini, solo non ha ritenuto esistente l’ulteriore requisito del pericolo per imporre lo sbarco al governo italiano.
Alla luce di ciò continuiamo a ritenere assolutamente valide le nostre ragioni, sia dal punto di vista del diritto che dal punto di vista umano. E per questo motivo, come già avvenuto pochi mesi fa, riproponiamo una “diffida umanitaria collettiva”, invitando tutti a stampare il testo in duplice copia e depositarlo presso la Prefettura della propria provincia di residenza, facendosi restituire una copia col timbro e la data del deposito.
Successivamente, si potrà fotografare la diffida depositata e inondare i social, affinché il Governo comprenda che coi diritti umani non si gioca.
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