L’ultima volta che sono andato in curva a vedere una partita di calcio, con un gruppo di amici e amiche, era primavera avanzatissima, una bella giornata di sole di tanti anni fa.
Prima del fischio d’inizio arriva una ragazza sotto di noi, insieme a un gruppo di ultrà.
E parte un primo coro: “Bionda, ma chi ti sfonda”.
Poi un altro: “Facci godere, dacci il tuo sedere”.
E, esclusa la reazione quanto meno imbarazzata del mio gruppo, tutti intorno a noi o cantano o ridacchiano.
Poi comincia la partita e la curva si dimentica della ragazza, che non so come abbia reagito, era troppo lontana, ma certamente è rimasta.
Scopro, allibito, dai discorsi dei miei amici, che succedeva spesso.
Sono passati tanti anni, ma lo striscione esposto nella curva Fiesole ci riporta sempre lì.
Certo, non tutti la pensano così in quella curva, la stessa Greta Beccaglia pare sia tifosa viola, ma non è un problema di quella squadra o di quello stadio, anzi, è proprio la conferma che, appunto, siamo sempre lì, in qualunque stadio, come a Genova quando è passata la ragazza con il tosaerba.
E quando escono, perché, poverini, hanno perso, e vedono una donna che fa solo il suo lavoro (anche lei da tifosa ha perso, fra l’altro), si sentono in diritto di affermare la loro superiorità maschile, il loro potere, perché la pacca sul sedere è questo, io ti posso dare una pacca anche lì dove non si potrebbe, così impari a mettere i jeans attillati.
Ora, ci sarebbe da discutere sulla presunta superiorità maschile, visto che fare una cosa del genere inquadrati da una telecamera mentre una donna sta trasmettendo in diretta televisiva, e sperare di scamparla e di non pagarne subito le conseguenze mediatiche, non depone certo per un’intelligenza superiore.
Allora partono le difese.
La goliardia, ormai un grande classico della giurisprudenza, la nuova scriminante utilizzata anche da razzisti e fascisti.
Poi lo sminuire il comportamento, ma come un reato, mica sarà come uno stupro no?
No, è certamente meno grave, però rimane violenza sessuale, ed effettivamente è un reato, lo dice la Cassazione.
E qui arriviamo al punto.
Il dare una pacca sul sedere a una donna non è percepito dalla maggioranza dell’opinione pubblica, e intendo non solo maschile, come una cosa grave, come un reato, ma solo, al massimo, come una sciocchezza, uno scherzo, un piccolo, insignificante, errore in una carriera di vita immacolata.
E chi, uomo, non è d’accordo, come me, su quest’ultima “interpretazione”, nella vita reale viene guardato con commiserazione, “ma dai” “ma cosa vuoi che sia” “ci sono cose ben più gravi”.
Tra l’altro, se non ci fosse stata la diretta televisiva non l’avremmo neanche saputo, e l’autore non sarebbe mai stato identificato.
Chissà quante volte succede ogni giorno in altri contesti senza nessuna possibilità di denuncia, perché non ti crede nessuno.
Quindi che fare?
Due cose.
La punizione, che non devono essere necessariamente i lavori forzati alla Cayenna. Basta un processo penale e una condanna formale, anche a lavori di pubblica utilità, anche passare due ore la settimana a pulire i giardinetti meditando su come si sia arrivati lì, sul fatto che la società affermi che è sbagliato, che non si fa, che ha delle conseguenze.
È importante non passarci sopra, anche se, purtroppo, viene tutto caricato sulle spalle della vittima, che, per l’ottica distorta patriarcale, se denuncia diventa, lei, la vera responsabile delle conseguenze sulla vita di chi ha commesso il fatto.
E poi l’educazione.
Servirebbe promuovere sin dalla scuola “la cultura del rispetto e dell’inclusione” al fine di “contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere, in attuazione dei princìpi di eguaglianza e di pari dignità sociale sanciti dalla Costituzione.”
Vi dice qualcosa?
È una parte dell’art. 7 del DDL Zan, affossato con giubilo dalle destre (esultanza definita, non a caso, “da stadio”), che secondo i “mediatori” sedicenti di sinistra, che hanno contribuito attivamente all’affossamento con il voto segreto, doveva e deve essere tolto per consentire l’approvazione della legge.
E che invece servirebbe, eccome se servirebbe, non solo contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia.
Un piccolo passo, per provare a fare in modo che fra qualche anno le curve siano sempre più popolate da persone diverse e migliori, e che queste persone diventino maggioranza, non solo in curva, e in Parlamento, ma nella nostra società.