Se non si raccolgono le firme non si possono più fare referendum su quello stesso argomento per cinque anni!
È falso: se non si raccolgono le firme si è persa un’importante occasione di partecipazione. Nessuna conseguenza su futuri referendum: che potranno sempre proporsi, ogni anno dal 1° gennaio al 30 settembre. La legge si limita a prevedere che uno stesso referendum non possa essere riproposto per 5 anni se quando si vota la maggioranza si esprime per il NO.
Se si firma un referendum non si può firmarne un altro!
È falso: l’elettore può firmare per tutti i referendum che vuole. Anche se fossero in contraddizione tra loro. Anzi, la Corte costituzionale ha espressamente detto che possono anche svolgersi referendum in contraddizione tra loro: poi decideranno gli elettori, con il loro voto.
Si poteva aspettare l’anno prossimo…
Si può sempre aspettare, ma perché? Svolgere i referendum prima possibile consente di limitare i danni delle leggi recentemente approvate e, in alcuni casi, di evitare proprio che si producano. Per questa ragione, il termine del 30 settembre (previsto dalla legge) indica la data ultima entro la quale si possono raccogliere le firme per poter poi sottoporre i referendum ai cittadini nell’anno immediatamente successivo. Altrimenti si slitta di un anno: e così partono le trivelle, i presidi, la legge elettorale, ecc. Per di più nell’anno antecedente allo scioglimento delle Camere non si possono presentare richieste di referendum e se le Camere vengono sciolte il referendum è rinviato di un anno. Quindi, attenzione: chi vuole rinviare, probabilmente non vuole, in realtà, i referendum.
Dovevano essere proposti altri quesiti!
Quali? Perché nessuno ha formulato altri quesiti? Abbiamo chiesto a molti partiti e associazioni e alcuni hanno accolto l’invito, altri no. Siamo partiti a maggio, cioè due mesi prima di depositare i quesiti. Con chi ha voluto partecipare, come Green Italia, Sinistra liberale e altri soggetti, abbiamo elaborato questi 8 quesiti. Cercando di colpire i provvedimenti più conservatori, più chiara espressione di un’idea di società superata e incline alla delega a uno solo di tutte le decisioni: a scuola come nelle istituzioni.
I quesiti andavano discussi con tutti e non fatti da soli!
Abbiamo iniziato a proporre i quesiti all’inizio di maggio e abbiamo cercato il confronto con tutte le forze politiche e sociali più vicine. Alcuni hanno risposto e hanno collaborato con noi alla individuazione e redazione dei quesiti. Molti hanno continuato invece a interrogarsi – incredibilmente – se fosse il caso o meno di far decidere i cittadini. Per noi la discussione continua: con i cittadini che vengono a firmare e con le forze politiche e sociali che vogliono avvicinarsi, anche perché da questi referendum parte una sfida più grande: quella della costruzione di una diversa società, più innovativa e più equa.
Il quorum non si raggiungerà mai!
Per prima cosa bisogna raccogliere le firme (500 mila). Poi ci sarà – in primavera – la campagna elettorale in cui volgiamo che tutti si confrontino: le ragioni del SI (cioè di chi è contro queste riforme) e quelle del NO. Si tratta di molti temi, molto importanti: perché gli elettori non dovrebbero interessarsi? Perché la maggioranza sostiene che ci debba essere referendum perché i cittadini si pronuncino sulla riforma costituzionale e non su queste altre riforme? Inoltre i referendum – anche per un importante contenimento dei costi – dovrebbero svolgersi con le elezioni comunali (dove ci sono), nella primavera 2016, proprio come chiedeva il Pd quando era all’opposizione, e questo renderebbe il momento partecipativo ancora più forte e frequentato. A meno che il governo non voglia sprecare risorse e rinviare la data dei referendum. Ma sarebbe già una sconfitta, come sarebbe invece un segnale politico molto forte raccogliere le firme. Di per sé.
Perché avete votato queste cose in Parlamento?
Domanda legittima, da rivolgere soprattutto a chi si era candidato nel 2013 con un programma molto diverso, anzi contrario alle riforme votate: chi ha promosso i referendum, però, a cominciare da Giuseppe Civati, non solo non ha votato queste riforme, ma si è espresso anche in aula in modo contrario. Civati ha votato contro il Jobs Act e lo Sblocca Italia, quando ancora faceva parte del gruppo del Pd. Ha poi votato contro la Buona scuola ed è uscito dalla maggioranza quando il governo ha deciso di porre tre volte la fiducia sulla legge elettorale.