Ancora Porto Marghera, ancora Fincantieri.
La Guardia di Finanza ha arrestato (domiciliari) 4 titolari di imprese legati ai subappalti del cantiere navale, per altri sei è stato disposto il divieto di dimora. Stavolta il nuovo filone d’indagine riguarda una rete di imprese albanesi (rispetto a quelle del 2019 che erano bengalesi), sette realtà specializzate in carpenteria metallica per un totale di circa 200 dipendenti dei quali 77 in condizioni paragonabili alla schiavitù.
Si tratta del (ahinoi) solito copione del differenziale fra la realtà tracciata nei registri, sui libri contabili e quello della busta paga agli operai, aggiustate al ribasso sotto ricatto di perdere il lavoro, spesso mentre si aspetta il permesso di soggiorno o si attende il ricongiungimento familiare. Il meccanismo della paga globale è arcinoto, nato agli inizi del 2000 per le lavorazioni povere affidate ai lavoratori privati specializzati, utilizzato ora dagli imprenditori in subappalto per far accettare ai propri operai non specializzati paghe inferiori ai 4 euro l’ora. Si parte dal netto orario imposto a monte, passando per la minimizzazione degli imponibili previdenziali e fiscali, abbattimento del monte ore, azzeramento degli straordinari e niente ferie, proseguendo con l’ausilio di voci fittizie non imponibili come diarie e trasferte, permessi non retribuiti. Al ‘globalista’ non spetta nemmeno la tredicesima o il Tfr. Così le 120 ore mensili registrate potevano raggiungere anche quota 290 (o 320) ore lavorate realmente. Un sistema diffuso in maniera trasversale nel mondo dei subappalti che ha permesso alle imprese coinvolte nell’indagine di sfruttare la manodopera e frodare il fisco.
Dalla politica locale, in questi giorni, c’è stata una levata di scudi contro lo sfruttamento dei lavoratori e sulla trasparenza che Fincantieri (controllata al 70% dallo Stato) dovrebbe tenere nel rispetto della legalità e dei diritti.
Poco è stato detto dei patti di legalità firmati da Fincantieri e come intervenire affinché non rimangano solo una foglia di fico (l’Azienda si dice sempre estranea perché le irregolarità sono in capo alle imprese in subappalto, lavandosene le mani e la coscienza). Il sistema di cui sopra non regge più: l’esternalizzazione sistematica che, per abbattere i costi, frammenta il lavoro in migliaia di imprese. Puntualmente alcune di queste si spingono oltre il limite delle legalità, aziende che assumono e spariscono, perpetrando sfruttamento, estorsione, minacce ed evasione fiscale.
Le dichiarazioni fatte da Fabio Querin (Rsu di Fincantieri), nel 2019, a Report lasciano poco spazio alle interpretazioni: “Quando viene l’Ispettorato del Lavoro lo sa tutto il cantiere, e tre giorni prima i lavoratori degli appalti dell’azienda da ispezionare cominciano a far pulizia nella loro zona di lavoro”. Va detto che l’accentramento delle funzioni sotto il ministero del Lavoro ha burocratizzato l’iter dei controlli. Come dice Sponchia, il presidente dell’Associazione nazionale degli ispettori di vigilanza, «se prima, in una situazione di allarme, l’ispettore poteva decidere in un paio d’ore di effettuare un controllo a sorpresa, oggi non è più possibile perché le ispezioni vanno preventivamente autorizzate nel corso della riunione mensile. E più si allarga il numero di persone a conoscenza in anticipo dei nomi delle aziende da ispezionare, più cresce il rischio di fughe di notizie».
Qualcosa va cambiato, perché se i controlli ci sono e portano periodicamente alla luce le irregolarità, il rischio è di ritrovarci l’anno prossimo (e quello dopo ancora) alle prese con l’ennesima inchiesta.