Nato nel 1981 a Messina, ma con origini eoliane (motivo per il quale è affascinato dalla navigazione a mare aperto di Civati, dice scherzosamente), Salvatore Tesoriero dopo la laurea in giurisprudenza consegue il dottorato in procedura penale, cattedra per la quale è oggi assegnista di ricerca presso l’Università degli studi di Bologna. Alla carriera accademica unisce la professione di avvocato in ambito penale: chiedo a lui quale sia il problema della Giustizia, e del perché non si trovino (o non si vogliano trovare) soluzioni strutturali.
“Le vecchie patologie strutturali si sono incancrenite nell’ultimo ventennio a causa dell’approccio “privatistico” dei partiti della destra berlusconiana: un ventennio di vilipendio quotidiano dello Stato di diritto, di leggi ad personam, di ritorsioni contro i magistrati, di norme-bandiera di pura speculazione politica (immigrazione clandestina), ferocemente afflittive nei confronti dei deboli (in materia di stupefacenti e i vari “pacchetti sicurezza”), o al contrario indulgenti nei confronti della cd. criminalità dei colletti bianchi (sostanziale depenalizzazione del falso in bilancio, su tutte). Su queste macerie si deve evidentemente ricostruire, coniugando le due anime della giustizia: servizio e garanzia. L’azione di tutti gli attori e operatori del diritto deve essere volta a contenere i tempi dei processi, non comprimendo le garanzie fondamentali. La lunghezza irragionevole dei processi è il problema fondamentale da affrontare. Bisogna investire sulla digitalizzazione dei dati processuali, sulle notifiche per via telematica, razionalizzare alcuni segmenti processuali, rivedere la disciplina della prescrizione nel processo penale. Bisogna, inoltre, salvaguardare le garanzie, rafforzando le tutele dell’ordinamento di fronte alle situazione di debolezza delle parti: i diritti degli imputati deboli, poveri e stranieri in testa, i diritti dei detenuti, costretti a scontare la detenzione in condizioni inumane, ma anche i diritti delle vittime, troppo spesso umiliate doppiamente da un processo che rinuncia all’accertamento dei reati.”
Domando lui cosa sia, in sostanza, la corruzione: “è un fenomeno sistemico, che percorre – inquinandole – la vita pubblica e privata generando un costo divenuto insostenibile, in termini economici, politici e sociali. Secondo la Corte dei Conti, la corruzione costa al nostro Paese circa 60 miliardi di euro l’anno, ossia 1.000 euro l’anno di tasse in più a testa per far fronte ai costi indebiti sostenuti o agli introiti non realizzati dallo Stato a causa della corruzione. L’efficace contrasto alla corruzione e alla evasione, in altri termini, è la più efficace manovra finanziaria che lo Stato può realizzare.”
La proposta che mette sul tavolo è davvero significativa: “Il contrasto alla corruzione dipende innanzitutto dalla selezione delle priorità operate dalla politica: la corruzione garantisce vantaggi a soggetti socialmente “forti”, determinati a difendere la loro posizione di rendita illecita facendo valere il proprio status mentre i costi, al contrario, sono sopportati dalla collettività, generalmente poco consapevole e scarsamente incline a sostenere efficaci contromisure. La politica deve operare come guida coraggiosa e consapevole degli interessi della collettività: deve prevenire la corruzione, estirpando ogni forma di conflitto di interesse e operare sul versante sanzionatorio. Il furto allo Stato non può continuare ad essere una scommessa vincente per chi delinque: zero pena detentiva (se applicata è in linea di massima non eseguita perché sospesa condizionalmente) e zero pena economica. Accanto alla sanzione detentiva è indispensabile introdurre e garantire l’effettiva applicazione di severe sanzioni pecuniarie (oggi assenti) agganciate alla rilevanza del profitto del reato, alla cui ottemperanza subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena. Su questo è pronta una proposta di legge che Civati presenterà in Parlamento.”
Una proposta che, insieme a tutte le altre della mozione, lo vede come grande sostenitore attivo di Giuseppe Civati: “la mozione Civati è un’esperienza politica collettiva, partecipata, libera, competente, in cui si respira desiderio di cambiamento vero, di costruzione di una società con meno diseguaglianze e più opportunità. Giuseppe è un protagonista serio e credibile di questo tempo politico: ascolta, riflette, non segue le mode, sa proporre un ragionamento articolato e coraggioso, l’unico tipo di ragionamento – a mio parere – in grado di incidere sulla complessità dei fenomeni di oggi, migliorandoli.”
Ama Bologna, città che lo ha adottato: “Bologna è per me un laboratorio permanente di buona politica, in cui le competenze private acquisiscono un senso profondo solo se messe a disposizione della cosa pubblica.“ Quella cosa pubblica per cui lavora e in cui crede, quel bene superiore che è anche fondamento del suo motto: ”Conoscere per riformare. Con un po’ di sano coraggio.”
#Civoti 24: Salvatore Tesoriero