Gli organi di informazione hanno dato notizia della imminente discussione in commissione Bilancio di un emendamento al decreto Cura Italia, che ha già ricevuto l’approvazione del Governo, definito impropriamente “scudo penale per i medici” con riferimento all’attuale emergenza sanitaria per Covid-19 in corso.
Una prima, sommaria, lettura dell’emendamento in questione, fermo un principio di fondo assolutamente condivisibile, cioè tutelare il lavoro quotidiano, la serenità (per quanto possibile), la futura tranquillità di chi sta rischiando, e purtroppo anche dando, la vita per curare e salvare le persone colpite da coronavirus, solleva tuttavia molte perplessità, di carattere giuridico e politico.
Va però detto, anzitutto, che la rilevanza penale della norma è molto limitata.
L’emendamento limita “per tutti gli eventi avversi che si siano verificati od abbiano trovato causa durante l’emergenza epidemiologica COVID-19 di cui alla delibera del Consiglio dei Ministri 31 gennaio 2020” la punibilità penale ai soli casi di colpa grave, definita tale ove consista nella “macroscopica e ingiustificata violazione dei principi basilari che regolano la professione sanitaria o dei protocolli o programmi emergenziali eventualmente predisposti per fronteggiare la situazione in essere”.
Più articolato, invece, è lo “scudo” di carattere civilistico, che copre non solo e non tanto i medici e gli operatori sanitari, ma anche le strutture sanitarie e socio sanitarie pubbliche e private, nonchè le figure tecniche-amministrative del servizio sanitario.
Ovviamente, di conseguenza, lo scudo copre anche le compagnie assicurative garanti dei soggetti in questione.
Il riferimento temporale e causale è identico a quello penale, ma la copertura di questi soggetti riguarda la responsabilità civile ed erariale, del tutto escluse eccetto che per condotte intenzionali (dolo), colpa grave (definita negli stessi termini utilizzati per la punibilità penale), o per “condotte gestionali o amministrative poste in essere in palese violazione dei principi basilari delle professioni del Servizio sanitario nazionale in cui sia stato accertato il dolo del funzionario o dell’agente che le ha poste in essere o che vi ha dato esecuzione”.
Per tutti i casi di colpa grave, sia in ambito penale che civile, la stessa va valutata considerando “la proporzione tra le risorse umane e materiali disponibili e il numero di pazienti su cui è necessario intervenire nonché il carattere eterogeneo della prestazione svolta in emergenza rispetto al livello di esperienza e di specializzazione del singolo operatore”.
Un primo enorme problema, alla luce della formulazione dell’emendamento, riguarda il suo ambito di applicazione.
Così come è scritto, infatti, lo stesso copre tutti i casi di responsabilità medica che si siano verificati dopo il 31 gennaio 2020 e fino al 31 luglio 2020, cioè avvenuti durante lo stato di emergenza.
Appare evidente come tale formulazione copra anche errori medici che non hanno alcuna attinenza con l’emergenza sanitaria.
Non si vede perché, soprattutto dal punto di vista civilistico, debba essere limitata la responsabilità per fatti che non hanno alcuna attinenza causale con il COVID-19, perché avvenuti ad esempio nel mese di febbraio oppure anche successivamente in zone non ancora colpite o comunque in reparti che non sono stati interessati, o non lo saranno in futuro, dall’emergenza, anche per operazioni avvenute in cliniche private, del tutto escluse al momento dall’emergenza se non per ricoveri temporanei.
Va anche detto che per tutte le attività di carattere strettamente medico o assistenziale, già la normativa vigente poteva essere sufficiente ad escludere la responsabilità, se non per dolo o colpa grave, per tutti quei casi in cui fosse provata la sussistenza di condizioni eccezionali, che avrebbero determinato l’applicabilità delle esimenti di carattere generale.
Ma ben venga la precisazione, sempre per i nostri operatori sanitari che tanto stanno dando alla comunità.
Solo non si comprende perché lo scudo civilistico sia esteso alle condotte gestionali o amministrative, che appare, a ben vedere, proprio alla luce della normativa generale, la vera novità, e forse il vero obiettivo, dell’emendamento.
Quindi, da un lato il paziente anche per patologia indipendente dal virus, non ha alcuna tutela, di carattere risarcitorio, per sei mesi, se non per casi di dolo o colpa grave, definita in modo molto restrittivo, ma non solo nei confronti diretti dei sanitari, ma in definitiva dell’intero servizio sanitario nazionale e del servizio privato, e non solo per la responsabilità della struttura conseguente all’errore del medico, ma anche per la responsabilità propria, di carattere gestionale e amministrativa.
Non sarà troppo?
Forse sarebbe più equo limitare lo “scudo” alla tutela dei sanitari, alla loro serenità nelle difficoltà attuali, lasciando tuttavia aperta la possibilità risarcitoria, almeno da parte delle strutture sanitarie pubbliche e private, e delle loro assicurazioni, sia per i fatti che non hanno attinenza causale, ma solo temporale, con l’emergenza sanitaria, che per le responsabilità amministrative e gestionali.
Allo stato e con questa formulazione, si potrebbe pensare che l’emergenza e i sacrosanti diritti dei sanitari a poter operare con la massima serenità (per quanto possibile ovviamente, date le circostanze) vengano “usati”, anche mediaticamente, in modo strumentale per tutelare in modo tombale, senza alcuna possibilità di valutazione di merito, altri interessi, che non sono ugualmente meritevoli di tutela, a danno del cittadino.
Quanto, invece, ai danni legati all’emergenza, si potrebbe, fermo lo scudo penale e civile per i sanitari, intervenire con una normativa a carattere indennitario, sulla falsariga, ad esempio, della legge 210/92 per i soggetti danneggiati irreversibilmente da complicazioni insorte a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni di sangue e somministrazione di emoderivati, quando cioè il danno sussiste ma è stato arrecato in modo involontario.
Solo in questo modo la tutela sarebbe universale ed equa.