Michele Ainis, stimatissimo costituzionalista (lo stimo molto, davvero, anche personalmente), ci offre su Repubblica di oggi una riflessione riguardante la triangolazione tra stato di diritto, immigrazione e sicurezza. Il punto di partenza è quello che definisce “un fiume in piena”, e cioè l’arrivo di cittadini stranieri che sarebbe decuplicato negli ultimi 25 anni. Il dato ha un suo fondamento, ma apre a due enormi osservazioni.
La prima è che gli stranieri sono decuplicati rispetto a 25 anni fa semplicemente perché in Italia allora non c’erano cittadini stranieri: il censimento del 1991 ne registrò, infatti 356mila, pari allo 0,6% della popolazione italiana. Sono quelli gli anni, infatti, in cui il nostro paese diventa un paese a saldo migratorio positivo, portandoci in 25 anni ad avere una quota di cittadini stranieri (pari circa all’8%) assolutamente in linea con le medie europee. Stando a tempi più recenti, dalle rilevazioni effettuate a inizio 2014, 2015 e 2016 risulta che la quota di cittadini stranieri soggiornanti regolarmente nel nostro paese (i non regolari sono una minoranza esigua) è assolutamente stabile, ferma attorno ai 5 milioni. E questo perché gli stessi stranieri arrivati 25 anni fa (ma anche molto dopo!) sono diventati cittadini italiani, seguendo un processo di integrazione e inclusione sicuramente non semplice. La stessa stabilità caratterizza il numero di persone sbarcate sulle nostre coste e che hanno chiesto asilo nel nostro paese. Ecco perché è assolutamente necessario, prima di qualsiasi ragionamento, dare un occhio ai dati e – soprattutto – quando si parla di diritti e – soprattutto, again – diritti delle minoranze, sarebbe sempre meglio evitare frasi a effetto.
In secondo luogo, Ainis scrive da subito che non esiste una relazione tra cittadinanza (straniera) e atti di delinquenza (“gli stranieri delinquono meno degli italiani”), ma tutto il suo ragionamento si articola sulla triangolazione che dicevamo in precedenza: lo stato di diritto tutela e «protegge – scrive Ainis — l’umanità dalla paura. Ma il presupposto sta nella sua capacità di garantire l’esercizio dei diritti. I diritti altrui, non solo nostri», ed ecco perché – prosegue – se neghiamo i diritti umani ai migranti li neghiamo anche a noi stessi. La sicurezza coincide con ciò, con la sicurezza dei diritti – e non potrei essere più d’accordo di così.
Quel che davvero non si capisce è cosa c’entrino i cittadini stranieri: perché sicurezza e straniero devono andare di pari passo e forzatamente nello stesso ragionamento, anche se “gli stranieri delinquono meno degli italiani”? O c’entrano, o non c’entrano. E non si può dire che non c’entrano ma poi dire che c’entrano, perché altrimenti torniamo al “pacchetto sicurezza” di maroniana memoria, che nella legge 94/2009 non si faceva alcun problema ad associare le due cose: la sicurezza, o meglio, la minaccia della sicurezza, e lo straniero. E da qui, a cascata, ci ritrovammo con l’esercito nelle città.
Non stupisce, di conseguenza, che Ainis concluda elogiando le parole pronunciate ieri da Beppe Sala (il quale ha chiesto l’esercito in alcuni quartiere di Milano, a partire da via Padova, sicuramente zona multiculturale).
Svegliateci da questo ritorno al passato. Di pacchetti sicurezza e di militari nelle strade ne abbiamo già visti, mentre vediamo sempre meno tentativi di costruire un approccio differente e fondato sui dati, senza armi né muscoli in vista.