Bologna, sabato 13 dicembre — La Scuderia è ormai casa per l’associazione Possibile, che nel febbraio scorso aveva discusso nello stesso luogo il proprio posizionamento rispetto al nascente governo guidato da Matteo Renzi.
Allora l’associazione Possibile non c’era ancora, in realtà, e le persone che riempivano il locale – e anche quelle fuori – si definivano, molto semplicemente, “civatiani”. Poi le cose sono cambiate. Pippo Civati c’è sempre: ci si accorge del suo arrivo dal circo mediatico che si scatena e dal caldo applauso che scatta tra la folla. Al suo fianco, però, inizia a prendere forma la “sinistra possibile” stretta attorno al “Patto Repubblicano”.
Si comincia nella tarda mattinata, con la sala già gremita. La mattina è dedicata alla questione delle questioni: il lavoro. Luigi Mariucci, ordinario di Diritto del Lavoro, illustra limiti, imprecisioni e cose sbagliate del Jobs Act, con un approccio analitico, laico. Dopo di lui si alternano al microfono le sigle della sinistra possibile: giovani sindacalisti, alla difesa del lavoro ma capaci di guardare oltre l’orizzonte strettamente sindacale, rappresentanti di nuove (si fa per dire) categorie di lavoratori (gli autonomi, i precari), TILT (rete di associazioni e persone che si batte, in particolare, per l’introduzione del reddito minimo). E i lavoratori di Terni. Anche loro.
Il pomeriggio si apre con l’intervento di Paolo Cosseddu, che provocatoriamente lancia l’idea di una “class action” per tutti coloro che non hanno percepito i famosi ottanta euro.
Si prosegue con il Patto Repubblicano. Lo presenta il costituzionalista Andrea Pertici. Cos’è il Patto? E’ un’analisi dell’Italia di oggi, in larga parte confermata dai risultati della “Ricognizione Possibile”, che abbiamo lanciato alcuni giorni fa, e che ci raccontano che, su un campione che per il 73% si definisce “elettore storico del Partito Democratico”, larghissime maggioranze non condividono per nulla Jobs Act, Sblocca Italia, mentre aumentano coloro che non si sentono rappresentati.
Il Patto Repubblicano è anche una proposta, declinata in dieci “inviti all’azione”, che chi sottoscrive si impegna a realizzare, nel proprio quartiere, in Consiglio comunale, alla Camera, al Parlamento Europeo. Cittadini e donne e uomini delle istituzioni, impegnate per promuovere dieci riforme che riteniamo fondamentali. Al momento le sottoscrizioni sono più di mille, e a breve ci metteremo insieme al lavoro. Un’analisi impietosa sullo “stato della Democrazia in Italia” è stata fatta da Nadia Urbinati, anche lei sottoscrittrice del Patto, insieme a Christian Raimo che con le sue slide zeropuntozero ha offerto una lettura dell’Italia ai tempi del governo Renzi, arrivandosi a chiedersi come mai, a Roma, sotto casa sua, c’era Borghezio. E dov’era la sinistra. Dov’è la sinistra quando si tratta di lotta alla corruzione, di paradisi fiscali europeissimi e di diritti, ci si chiede ascoltando Salvo Tesoriero, Lucrezia Ricchiuti, Elly Schlein e Marina Terragni.
A seguire, gli interventi più politici. Claudio Riccio, Walter Tocci, Corradino Mineo. Luca Pastorino: lui e Civati sono stati gli unici a votare contro il Jobs Act alla Camera. Luca, sindaco di Bogliasco, in Liguria, è campione di concretezza: «mi avete chiesto di parlare. E allora, se devo parlare, dico che dobbiamo uscire dal PD». Simone Oggionni, Annalisa Corrado, Marco Revelli, Nicola Fratoianni. E Pippo Civati, primo firmatario del Patto.
L’attacco delle sue conclusioni è subito duro, perché di fronte a chi minaccia le elezioni (e a chi ci vorrebbe andare, ma non lo dice), ripete quanto detto sin dai primi mesi della legislatura: «Questa legislatura prima finisce e meglio è, perché abbiamo fatto alleanze che non stanno da nessuna parte, perché non c’è nemmeno un programma da nessuna parte». E di un programma si sente enormemente la mancanza. Un programma che parli di «disuguaglianze, ambiente, rapporti di potere. Tutte cose che impongono la necessità di una sinistra in questo Paese. In Italia non si parla di povertà, perché non sta bene nella narrazione, non sta bene come finale del romanzo. Eppure le cose non vanno bene».
La proposta torna al Patto Repubblicano: «organizziamo un altro semestre europeo, sulle politiche, per parlare d’altro che sia il dibattito “dentro o fuori al PD”: mettiamo assieme sulle questioni questa benedetta sinistra. La domanda finale è: al PD interessa o domani ci sarà la polemica? Qualcuno le vuole raccogliere le cose dette oggi?». E infine, la chiusa sulla ventilata scissione: «io non me ne vado con infamia da scissionista — ha dichiarato Civati -, io fino alla fine li richiamo. C’è un limite, però. Se si vota perché Renzi ha bisogno di andare a elezioni, e il programma elettorale è il jobs act, lo Sblocca Italia, le riforme che non ha potuto fare questa volta, questa visione della politica e dei rapporti tra partiti, l’attenzione per la legalità a seconda di cosa succede in cronaca, ecco: se questo è il programma elettorale, io vi dò una garanzia, non mi candido con quella roba lì».