Dicono che siamo strani noi, che abbiamo un progetto e un profilo.
Eppure vedo che ci si scinde dal PdR ‘minacciando’ di allearsi con il PdR.
Vedo chi ha votato sì proporsi come organizzatore di chi ha votato no.
Vedo chi denunciava che il governo fosse la fotocopia senza toner del precedente chiedere che vada avanti fino al 2018 come condizione necessaria.
Vedo che si vuole rifare il centro-sinistra dove il trattino è puntualmente un meno, perché l’importante è tenersi le mani libere per allearsi con la destra.
Vedo l’Ulivo citato come se fosse l’Arbre Magique che profuma l’aria comunque irrespirabile di un veicolo che sbanda verso destra.
Vedo il campo progressista quando nemmeno si riescono a fare le telefonate. Come dire, non c’è campo.
Vedo qualcuno preoccupato per Alfano che ora deve preoccuparsi ancora di più perché Minniti è più a destra di lui.
Non è il discorso ironico e paradossale di Marco, lo studente del Politecnico di Torino, ma è la cronaca delle ultime settimane. E per sineddoche degli ultimi anni.
Voglio essere chiaro: non mi fido di quelli che non parlano mai di niente, perché potrebbero essere capaci di tutto. Quelli che parlano solo di partito, di posizionamento, di politicismi e mai delle cose da fare, e che poi nella situazione giusta voterebbero qualsiasi cosa. L’ho visto fare, ogni giorno, in questa legislatura. E ci hanno spiegato che la politica è esclusivamente compromesso tra politici, e no, non è così, diciamolo ogni volta che possiamo. Politica non è potere da condividere tra potenti, ma potere da distribuire ai cittadini.
Ho l’antidoto: manderei l’intervento di Marco Grimaldi in loop, obbligando alla visione tutti quanti.
Prima cosa: autonomia, anche dal dibattito degli altri.
L’Italia ha bisogno di una sinistra con agenda politica propria. A noi serve un taccuino, preciso negli obiettivi e con i numeri a fianco di ogni voce.
Sanders e Hamon che tutti citano non sono la sinistra radicale, sono la sinistra normale: la normale sinistra di chi vuole cambiare le cose, non mantenerle come sono, con falsi movimenti e trucchi da quattro soldi.
Orgoglio, ci vuole. Non la nostalgia dei tempi che furono. Ci vuole l’idea di competere come se fossimo alla pari. Gli altri sono al 30% e noi sotto il 5? Chi l’ha detto che finirà così? Si azzererà tutto alle prossime elezioni, lo abbiamo capito, oppure no?
Bisogna avere la stessa follia del M5s, che poi nella follia ha ecceduto e che per mille ragioni non ci ha convinto né ci convince, ma che nel 2013 ha lanciato una sfida su questioni di cui nessuno si faceva carico. Abbiamo la stessa forza e la stessa determinazione?
Per questo non ci vuole un leader, che maturerà in questo percorso, ma 100 leader, 100 competenze, 100 candidature che sbaraglino gli avversari. Competitivi con tutti gli altri attori politici, altro che minoritari.
Avviamo un esperimento mentale: fottersene dell’ultima dichiarazione, fare le cose che contano, precisare le proposte per il futuro. Cambiamenti climatici, migrazioni, robotica, paradisi fiscali. Altro che provincialismi.
Una sinistra che produca competenze per risolvere problemi, con grande umiltà.
Non Polinesia, come ha detto Mussi, metafora che ha dato il via a una riflessione sui ponti (tranne che sul ponte sullo Stretto), ma una costellazione.
Ve lo ricordate Giordano Bruno, il cui anniversario ricorre in queste ore? Lo Spaccio de la bestia trionfante: mandiamo via le costellazioni del passato, la costellazione della precarietà, il centauro — figura mitologica mezzo di sinistra e mezzo di destra — , disegniamone di altre.
Come Giove «ch’avea colmo di tante bestie, come di tanti vizii, il cielo, secondo la forma di quarant’otto famose imagini», decide di cancellare questi animali fantastici per sostituirli con «disperse virtù».
È il disegno che conta. Ed è planetario, altro che minoritario.
Un unico soggetto elettorale della sinistra che si apre alla società, che parta da noi, che si candidi a fare grandi cose e a dare rappresentanza a chi non ne ha. Per far ‘scendere’ quel disegno sulla terra, senza aspettare ancora.
Con una campagna che sia prima culturale ed essenzialmente politica, piuttosto che meramente elettorale.
Tocca a noi promuoverlo.