[vc_row][vc_column][vc_column_text]C’è un grosso problema nella gestione di questa emergenza sanitaria meglio conosciuta col nome di Coronavirus. E non si tratta di bozze di decreti trapelati dalle maglie larghe del governo, che hanno provocato un esodo di pendolari dalle aree che di lì a breve sarebbero state ufficialmente dichiarate zone rosse.
Il problema, grave, è che l’Istituto Superiore di Sanità e il Governo, nella figura dei Ministeri di Lavoro e Sanità, non sono sulla stessa lunghezza d’onda.
“Non c’è una parte d’Italia immune, ci sono parti d’Italia dove al momento il virus circola meno. Dipende dai nostri comportamenti quanto circolerà” è intervenuto così poche ore fa Silvio Brusaferro, Presidente dell’Iss.
La finalità principale della quarantena è tutelare soprattutto quei soggetti che vengono ritenuti a rischio: gli immunosoppressi, i malati cronici e gli anziani in generale. Perché la Lombardia è già sull’orlo del collasso sanitario, e i posti nelle terapie intensive sono limitati.
Nelle zone di guerra lo chiamano “codice nero”: nella malaugurata circostanza in cui si presentassero due soggetti con sintomi severi al punto da richiedere di essere entrambi intubati e ci fosse un solo posto in rianimazione disponibile, allora si procederebbe a prestare le cure soltanto al meno grave dei due.
Per questo motivo, nonostante i messaggi contrastanti ricevuti da istituzioni e stampa, molti individui e famiglie — tra i più responsabili – hanno optato per quello che si può definire un “isolamento volontario”, limitando le uscite da casa a pochi, pochissimi gesti inderogabili, tra cui il recarsi in ufficio per esplicita richiesta dei datori di lavoro. Perché tra le famose maglie larghe del governo si inseriscono le diverse interpretazioni dei decreti, primo fra tutti l’applicazione dello smart-working.
E quindi adesso siamo in una circostanza in cui veniamo invitati da virologi, infettivologi e anestesisti a non uscire di casa, ma allo stesso tempo in molti sono costretti a recarsi in ufficio perché il datore di lavoro ha deciso così, non si sa se per incoscienza o per compiacere Confindustria. E le ferie e le aspettative sono da concordare con la dirigenza aziendale, il che implica che se ti vuoi mantenere il posto di lavoro, o salvaguardare la carriera, meglio se stai zitto e vai a lavorare.
E questo vuol dire che centinaia di migliaia di persone ogni giorno andranno per strada, si sposteranno sui mezzi pubblici, toccheranno cose e persone, il virus verosimilmente continuerà a circolare, si attaccherà a soggetti più o meno giovani e più o meno sani che, ad un certo punto, torneranno a casa e saluteranno, baceranno e toccheranno figli, coniugi, conviventi, amici, genitori, suoceri e nonni.
E pensare che negli ospedali, la scorsa settimana, raccomandavano di bruciare tutti i vestiti venuti a contatto con le stanze dei pronto soccorso.
Per questo ci auguriamo che il Governo si faccia un profondo esame di coscienza, e si chieda se non sia più importante tutelare il Sistema Sanitario Nazionale che compiacere qualche associazione di categoria.
Per questo chiediamo che venga fatta chiarezza a mezzo decreto, e che i datori di lavoro siano obbligati dalla legge a concedere lo smart-working a tutti i dipendenti a cui sia applicabile.
Per non parlare di cosa significa per i genitori di minori la chiusura di scuole e asili e la gestione domestica dei figli, dato che tutti non hanno i nonni a disposizione e, comunque, sono proprio loro i primi a dover essere tutelati. Ma per questo c’è già una raccolta firme che potete sottoscrivere qui.
Contestualmente, vi chiediamo di mandare le vostre testimonianze sulle disposizioni discrezionali in tema di smart-working all’indirizzo redazione@possibile.com, soprattutto per capire quali complicazioni e disparità di trattamenti causino delle disposizioni così vaghe e non vincolanti, in deroga al principio di uguaglianza enunciato dall’Articolo 3 della Costituzione della Repubblica Italiana. [/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]