[vc_row][vc_column][vc_column_text]Dopo questi primi mesi di rodaggio un po’ forzato e un po’ improvvisato, in cui sia aziende sia lavoratori sia lavoratrici hanno dovuto fare di necessità virtù, appare praticamente scontato che il ‘lavoro da casa’ prenderà sempre più campo anche in Italia e anche fra le aziende di medie dimensioni. Molti imprenditori hanno avuto una specie di ‘illuminazione sulla via di Damasco’ e stanno iniziando a capire (alcuni lo hanno già fatto velocemente) che conviene. Non c’è dubbio che sul piano dei costi generali le aziende realizzino dei risparmi (e non lo consideriamo un peccato) e che, come sembra dai primi dati, la produttività aumenti. Ma ci chiediamo, come riequilibrare una asimmetria evidente tra benefici dei datori di lavoro e benefici dei dipendenti che saranno, volenti o nolenti, attori di questa rivoluzione? Quali potrebbero e dovrebbero essere i prossimi passaggi affinché l’opportunità si trasformi anche in un’occasione di vera innovazione sociale a beneficio di entrambe le parti coinvolte? Come noto, quello attuato in questi giorni di emergenza COVID-19, è di fatto un semplice trasferimento del lavoro a casa. Di per sé non si tratta di lavoro agile o, come si dice di ‘smart working’. Potrà però diventarlo a patto di riuscire a delinearne meglio alcuni aspetti a garanzia di un’effettiva funzionalità e risolvendo alcune questioni ‘pratiche’ non di secondo piano:
- la necessità di possedere competenze specifiche in modo da utilizzare tutte le tecnologie informatiche (un terzo dei lavoratori e lavoratrici, secondo il questionario della Fondazione Di Vittorio non sarebbe in questa situazione),
- la necessità di avere i necessari spazi fisici a disposizione (presenti solo per il 50%, secondo lo stesso questionario),
- la necessità di tutelare il diritto alla “disconnessione”.
La legge 81/2017 introduce “il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.”. In pratica la legge non regolamenta ma apre un largo fronte tutto da sviluppare. L’applicazione del lavoro agile è subordinata alla sottoscrizione su base volontaria di un “accordo individuale di lavoro” tra il lavoratore e il datore di lavoro. Riteniamo invece che debba inserirsi a pieno titolo nelle contrattazioni collettive, così da poter essere definito complessivamente e sottoposto ai monitoraggi e alle valutazioni di applicazione usuali. Quali sono le basi fondamentali su cui deve essere sviluppato allora questo contratto? Quali sono le regole da introdurre per rendere lo smart working sostenibile dai lavoratori e dalle lavoratrici? Secondo il sindacato per realizzare uno smart working, non solo è necessario fornire ai lavoratori e alle lavoratrici tutti i materiali e tutte le attrezzature necessarie, ma è doveroso assicurare anche altri basilari servizi, quali ad esempio i corsi di formazione. Lo smartworking funziona quando l’apprendimento al lavoro da casa si realizza, quando il lavoratore riesce a sviluppare nuovi skills utili a migliorare sé stesso e la propria condizione. Lo smart working deve essere adattabile alle esigenze personali, è essenziale per il lavoratore creare una separazione degli ambienti, dove risultino distinti i tempi di lavoro e i tempi dedicati a sé stesso. La sfera lavorativa e la sfera privata non possono sovrapporsi, chi lavora non può subire una continua pressione, non è accettabile vivere sull’attenti, il ragionamento “tanto sei già a casa” non deve e non può trovare spazio. È fondamentale difendere la vita delle lavoratrici e dei lavoratori dall’alienazione che può creare un telefonino acceso. I servizi a sostegno di scuola e famiglia devono essere mantenuti e ampliati e non trasferiti sui nuclei familiari (sulla donna, in realtà). Non vorremmo che in questo senso lo stato si sentisse alleggerito dei propri compiti. Solo intraprendendo questa strada possiamo rendere utile lo smart working per i lavoratori e l’intera società. In questa prima fase occorre avere la capacità di costruire e sviluppare un modello lavorativo che si adatti ai lavoratori e non il contrario! È necessario agire subito, in questo momento, non a crisi finita. Bisogna regolamentare ora per assicurare i diritti ai lavoratori che a emergenza finita continueranno a lavorare con questa modalità. Giuliano Graziani Paolo Zucco[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]