L’affronto sessista del presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, che lascia la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen in imbarazzo senza sedia, ha scandalizzato l’opinione pubblica, come è giusto che sia. Soprattutto dopo la recente decisione dello stesso Erdogan di ritirare l’adesione della Turchia alla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne.
E’ un peccato però che l’indignazione generale verso la discriminazione di genere commessa da Erdogan, non abbia lasciato spazio ad altre altrettanto legittime ragioni di indignazione come ad esempio i temi discussi durante un incontro altamente politico, oppure il bizzarro assetto istituzionale dell’UE che ha servito un assist ad un Erdogan desideroso di sminuire la costruzione europea.
L’obiettivo della visita di Ursula von der Leyen e Charles Michel in Turchia era quello di riaprire il dialogo diplomatico tra i due blocchi dopo le ultime tensioni, dovute in particolare alle divergenze dello scorso anno sull’accordo migratorio del marzo 2016 con l’UE e la decisione della Turchia di inviare navi da ricerca nelle acque rivendicate da Grecia e Cipro.
Il “sofagate” è l’ennesimo esempio in cui l’UE, nel tentativo di affermare la sua politica estera su questioni delicate e cruciali, è inciampata nelle sue stesse fragili impalcature istituzionali. Per contare in politica estera, l’UE ha bisogno di riformare le proprie istituzioni dotandosi di un Parlamento (a tutti gli effetti), di un governo e di un presidente.
La sempre più inadeguata struttura istituzionale europea ha fornito ad Erdogan un alibi perfetto per commettere una disparità di trattamento (oltre che di genere) tra il rappresentante dei governi europei Charles Michel, e Ursula von der Leyen la presidente della Commissione europea, istituzione sovranazionale essenza dell’UE.
Facendo sedere accanto a sè Charles Michel, e tenendo “a distanza” Ursula von der Leyen, oltre a compiere un atto sessista, Erdogan ha voluto delegittimare l’UE, sottolineando che per lui contano soltanto gli stati membri ed è quindi con il loro rappresentate che intende relazionarsi considerandolo un suo pari.
Inoltre, secondo l’ordine protocollare sembrerebbe che il presidente del Consiglio europeo abbia la precedenza rispetto al Presidente della Commissione europea, lo ha precisato anche l’ex presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, che durante il suo mandato in varie occasioni ha dato la precedenza all’allora presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk. Dal canto suo, il portavoce della Commissione europea Eric Mamer ha affermato che von der Leyen e Charles Michel sono di eguale rango istituzionale in questo tipo di incontri. Silenzio invece, da parte del portavoce di Charles Michel.
Come prevedibile, cavalcando l’onda dell’ambiguità, il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu ha rivendicato l’operato corretto della Turchia, che avrebbe “rispettato il protocollo” e “accolto le richieste” degli europei in tal senso.
Insomma, nonostante i passi avanti permessi dalle ultime riforme istituzionali, l’Europa non è ancora in grado di dare una risposta chiara alla famosa domanda attribuita ad Henry Kissinger: “chi devo chiamare se voglio parlare con l’Europa?”.
La confusione tra i ruoli delle varie istituzioni europee in politica estera, e la traballante ed incerta ripartizione delle competenze, non fanno altro che indebolire l’UE sulla scena mondiale. E invece le grandi sfide dei nostri tempi si giocano proprio a livello globale, abbiamo bisogno di un’Europa unita e capace di agire in politica estera. Non possiamo più permetterci di perdere tempo. Quando lo capiremo?
Silvia Romano