[vc_row][vc_column][vc_column_text]Ritornano, ad ogni fine estate, le Pensioni d’Oro. Come certi film messi in onda a colmare i buchi del palinsesto. Film visti per l’ennesima volta. Ma si tratta pur sempre dello stesso antico e amato terreno di dispute televisive sul quale esibire la forza muscolare del governo, perché rinunciarvi?
Peccato che il primo esercizio al trapezio dell’equità del sistema pensionistico è drammaticamente fallito, al punto che ora i prodi firmatari del disegno di legge — l’Atto Camera n. 1071 — ossia D’Uva, capogruppo alla Camera del Movimento 5 Stelle, e Molinari, capogruppo Lega, si ritrovano improvvisamente su sponde opposte.
La fretta di sferrare il colpo decisivo alla plutocratica banda di pensionati che usurpa l’italico popolo ha prodotto un testo che — in ambienti leghisti — è ritenuto persino peggiore della Legge Fornero. Il perché è presto detto: la norma così scritta colpirebbe gli assegni sopra 4 mila euro con una penalizzazione calcolata in misura direttamente proporzionale al numero di anni di anticipo rispetto all’età anagrafica pensionabile. La decurtazione degli assegni vale anche per coloro che hanno maturato l’anzianità contributiva prevista dalla legge in vigore. Insomma, l’elettorato di riferimento della Lega, che certamente annovera pensionati con cospicui assegni maturati dopo anni di lavoro nell’azienda di famiglia, non gradirebbe affatto.
Capita l’antifona, i leghisti hanno spinto il governo a dirottare sulla modesta e abusata formula del contributo di solidarietà. Un’arma che, per essere efficace rispetto agli obiettivi di cassa del governo, deve essere puntata molto in basso — diremmo alle caviglie — all’incirca a partire da 2 mila euro lordi al mese. Si mira non più alle sole pensioni d’oro ma anche a quelle d’argento o di latta che dir si voglia.
Eppure la recente storia avrebbe dovuto suggerire un più mite approccio. A saltare in groppa all’Oca delle Pensioni d’Oro fu per primo il ministro Tremonti, nel 2011: il suo contributo di perequazione valeva per gli assegni superiori a 90mila euro e stabiliva prelievi con un certo grado di progressività. Inizialmente gli scaglioni erano solo due (5% da 90 mila fino a 150 mila; 10% oltre a 150 mila), poi diventarono tre alla fine del 2011 (15% oltre i 200 mila). La norma venne impugnata da un magistrato, ex Presidente della Corte dei conti, in quiescenza dal 2007, è fu dichiarata incostituzionale.
Miglior fortuna hanno avuto i tentativi del governo Letta. La norma sul prelievo perequativo, venne ripristinata con la Legge di Stabilità 2014, ed è rimasta in vigore fino al 31 Dicembre 2017. Il contributo di solidarietà prevedeva un’aliquota del 6% sugli assegni superiori a 14 volte il trattamento minimo (TM, nel 2013 era stato fissato a 495,43 euro) e fino a venti volte il TM, del 12% tra venti e trenta volte il TM, e del 18% per trattamenti superiori a trenta volte. Vi era inoltre un ulteriore contributo di solidarietà su tutti i redditi superiori ai 300 mila euro (art. 2 comma 2 D.L. 138/2011 – aliquota del 3%) prorogato dal governo Letta sino alla fine del 2017 e lasciato decadere da Gentiloni.
Mentre il contributo del 3% è sempre stato applicato alla generalità dei contribuenti — non solo alla categoria dei pensionati — ed è per questa ragione immune alle azioni cautelative delle parti interessate, la persistenza del prelievo perequativo nella formulazione del governo Letta è dovuta al rispetto di due essenziali criteri (frutto della giurisprudenza delineata dalle sentenze della Consulta): la temporaneità e la sua caratterizzazione come tributo di solidarietà. D’altronde, il reddito da pensione è retribuzione differita, pertanto non ha natura diversa dagli altri redditi; il prelievo circoscritto alla sola categoria dei pensionati, pur d’oro, si caratterizzerebbe per irragionevolezza ed arbitrarietà.
Se si tratterà nuovamente di un simile tributo, sarà ancora una misura tampone, provvisoria e di scarso apporto per i conti pubblici, a meno di non colpire alle caviglie, come detto: già Cottarelli, nel 2014, aveva previsto che si sarebbero dovuti colpire ben 2,5 milioni di pensionati per ottenere un gettito significativo, estendendo la platea ben al di là dei pensionati d’oro e generando quasi certamente altri effetti distorsivi in termini di equità della tassazione. Certamente non si risolve l’annoso problema delle ‘pensioni d’oro’ — o per meglio dire, dell’equità all’interno del sistema pensionistico. Tuttavia, è curioso che i fautori della mini-Flat Tax, della cosiddetta pace fiscale, si riducano ad introdurre un nuovo balzello, alla stregua di un Monti o di un Letta qualsiasi.
Ovviamente abbiamo un suggerimento, che certamente non verrà ascoltato: la miglior via per restituire equità è quella di agire dal lato dell’imposta sul reddito ribadendo il criterio di progressività previsto dall’articolo 53 della Costituzione attraverso il ritocco della curva delle aliquote. Al posto della Flat Tax e dei prelievi posticci, noi di Possibile rilanciamo la nostra Progressivitax: l’equità prima di tutto.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]