“Sovranità e democrazia energetica”, ecco il titolo (che si porta dietro il mondo) della sessione del Politicamp che Pippo Civati mi ha chiesto di organizzare: un panel che ci aiutasse a focalizzare e illustrare il legame strettissimo tra la possibilità dei cittadini di esercitare concretamente la propria sovranità, da una parte, e le scelte energetiche di un Paese, dall’altra. Un panel che sancisse, ancora una volta, che «siamo fautori di una sovranità costituzionale e anche energetica, di una democrazia diffusa anche nella produzione dell’energia e nell’efficienza. Un modello opposto (a quello a cui i nostri governanti sembrano essersi avvinghiati) che dice no alle soluzioni fossili e imposte da chissà chi (perché non si sa quasi mai chi c’è dietro) e dice sì a soluzioni innovative, democratiche, trasparenti e pulite».
Nascoste tra le righe delle scelte energetiche di un Paese troviamo, in fila indiana, tutte le battaglie che stiamo combattendo. C’è la crisi, innanzitutto, che è economica, ambientale e sociale e che mostra il fallimento delle scelte fino ad ora fatte. C’è il lavoro che manca, l’innovazione che arranca, perché ci si accanisce a cercarli nei luoghi sbagliati e nei modi peggiori, perché si mortifica e strazia il tessuto più sano e promettente del Paese. C’è l’instabilità geo-politica del pianeta, con le guerre per l’accaparramento delle risorse e con i ricatti dei Paesi con le mani insanguinate, da cui continuiamo a dipendere e che ci tengono sotto ricatto. C’è il clima che cambia e che caccia intere popolazioni da luoghi fino a ieri adatti all’insediamento umano, e che li rende ospiti indesiderati di quelli che restano tali, cittadini invisibili di serie zeta. Ci sono la legalità, la re-distribuzione della ricchezza, il benessere diffuso delle opere sostenibili e capillari, contro quelle gigantesche, inutili, e per giunta, criminogene.
Pian piano tutti i Paesi che si contendono la leadership economica del pianeta se ne sono accorti (dalla Cina dove i costi sanitari per l’inquinamento sono deflagrati, agli Stati Uniti di Obama, mentre la Merkel ha tenuto la barra a dritta delle scelte industriali del suo Paese, Green-oriented da decenni).
E questo perché, numeri alla mano, non solo il petrolio è stato messo, a Parigi, dalla parte sbagliata della storia, non solo i costi della produzione rinnovabile ormai stanno raggiungendo e riducendo i costi delle fonti inquinanti tradizionali (che vengono tenute in vita da un sistema di sovvenzioni e regalie che gridano vendetta), ma anche perché a questi leader alla guida di potenze internazionali, al contrario di chi dovrebbe guidare noi, non è sfuggito che la strada della sostenibilità (fatta di fonti rinnovabili, di efficienza energetica, di economia circolare, di mobilità nuova, di chimica verde…) è l’unica capace di parlare di futuro, senza contraddizioni, senza incoerenze, senza paura.
Noi ne siamo certi. E, certamente, non staremo ad aspettare con le mani in mano che si perda, autolesionisticamente, ancora altro preziosissimo tempo.
Ah! La sessione, pare, sia venuta proprio bene. Se ve la foste persa, eccola qui: