La campagna per il referendum costituzionale si avvia verso le sue fasi finali, e come spesso accade il veleno sta nella coda.
La comunicazione messa in campo negli ultimi giorni dal Presidente Renzi ha assunto, infatti, i toni del grottesco.
La continua ambivalenza del suo messaggio ha fatto entrare la sua traiettoria in pieno avvitamento, e come abbiamo già sottolineato, appare ormai aggrapparsi disperatamente a ogni trovata gli salti in mente pur di recuperare il terreno che evidentemente sente di aver perso in una corsa referendaria che avrebbe dovuto (secondo le sue stesse affermazioni iniziali) stravincere.
E allora ci capita a giorni alterni di vedere un Renzi garante della stabilità fare appello al voto per il sì per “fermare il populismo”, e un Donald (nel senso di Trump, anche se i pasticci fanno pensare anche a Donald Duck) Renzi fare appello a leghisti e grillini (parole sue) perché votino sì nel rispetto della loro storia fatta di “Roma Ladrona” e “Vaffa Day”, storia che evidentemente lui vuole incarnare grazie al suo taglio delle poltrone e a quello di 500 milioni ai costi della politica che intende spendere per ricercatori e infermieri.
Dice Renzi “E’ demagogia, ma è la verità”.
Caro Presidente, è vero solo a metà: si tratta certamente di demagogia, ma è tutt’altro che la verità.
Non solo perché secondo la stessa Ragioneria dello Stato, gli unici risparmi accertati sarebbero di meno di 60 milioni, con i quali lei potrebbe finanziare ricercatori e infermieri con ben 10 euro ciascuno, ma persino questa promessa ridicola è del tutto indimostrabile e per nulla legata alla riforma, l’ennesima (minuscola) cambiale in bianco che il premier chiede disperatamente a tutti di firmare, dopo aver portato avanti una campagna in cui ha promesso che con il sì avremmo bollette più basse, cureremmo più efficacemente il cancro e avremmo persino treni più efficienti (non se l’è sentita di promettere che arriverebbero in orario).
Per altro, nel fermo immagine lei afferma che nei prossimi vent’anni se si vota no non si potrebbero ridurre i costi della politica. Dipende. Se rimane lei, come dimostrato nei tre anni in cui è stato a capo di maggioranza e governo, è molto difficile, dal momento che ha inventato spese che non c’erano, come il suo famoso aereo presidenziale, e si è opposto alla riduzione degli “stipendi” dei parlamentari.
La sua versione rassicurante e centrista di Presidente del Consiglio (il Pierferdinando Renzi, chiamiamolo) non dice cose molto più vere. Non solo perché i suoi atteggiamenti antieuropeisti e la sua politica economica nei riguardi del bilancio dello Stato sono ben poco rassicuranti, ma anche perché con il suo trumpismo d’accatto dei giorni dispari lei è tutt’altro che un argine al populismo: è un apripista.
Dovesse vincere, infatti, non sappiamo dove ci condurrà l’hybris di un politico a cui piace raccontarsi statista mentre dimostra di essere pronto a tutto pur di conservare il suo posto, ma siamo piuttosto sicuri che se il grande treno (sempre in orario) delle sue riforme dovesse per caso deragliare (come appare probabile) è perché, come ripetuto fin troppe volte, c’è già in questo Paese chi è molto più bravo e più credibile di lei nel fare leva sulle debolezze e sugli istinti peggiori che albergano in una parte di noi, e queste figure non hanno certo bisogno della pubblicità gratuita che il governo e la maggioranza parlamentare stanno regalando loro quotidianamente.