di Carola Farci
Certo siamo tutti d’accordo che la grande priorità della nostra epoca è la lotta ai cambiamenti climatici. Qualcuno scriveva che preoccuparsi di qualsiasi altra cosa, oggi, equivale a essere in apprensione per la lavatrice che si è rotta mentre nel soffitto c’è un’enorme crepa che sta per far crollare la casa.
L’aumento della temperatura di più di un grado centigrado – che si prevede continuare a salire sino a raggiungere, nel giro di vent’anni, 1.5 gradi – porta con sé innumerevoli conseguenze: il livello dei mari sale ad una velocità vertiginosa rispetto allo scorso secolo; i ghiacciai si sciolgono; la Corrente del Golfo rischia di raffreddarsi, lasciando nel gelo numerosi Paesi. D’altro canto, la desertificazione è una realtà, le migrazioni climatiche sono destinate ad aumentare in maniera irreversibile, creando probabilmente importanti conflitti per le risorse nei decenni a venire.
Tutto questo è reversibile? Gli scienziati non paiono essere d’accordo in merito. Certamente ognuno di noi deve fare la sua parte, ma esigere politiche green è diventato estremamente urgente.
Per questo una delle primissime cose che possiamo fare è esigere che l’UE dica ‘stop’ al finning.
Cos’è il finning? È la pratica brutale di tagliare le pinne agli squali, spesso ributtandoli poi in mare mutilati e quindi impossibilitati a respirare, nuotare, sopravvivere.
Le pinne di squalo sono infatti alla base di un piatto prelibato, particolarmente in voga nell’Asia sud-orientale: la zuppa di pinne di squalo. Per avere un’idea, un piatto di zuppa di pinne di squalo arriva a costare anche 100 euro. Non propriamente proletario, dunque. Eppure, per coccolare i palati dei raffinati signori orientali, vengono uccisi, ogni anno, circa 73 milioni di squali.
E, sebbene da noi le pinne di squalo non abbiano alcuno smercio, l’UE è uno dei maggiori venditori: circa 3.500 tonnellate di pinne vengono pescate nei nostri mari e vendute ogni anno all’Asia.
Essendo all’apice della catena alimentare, gli squali garantiscono l’equilibrio della vita marina, evitando la sovrappopolazione di pesci medi e le relative conseguenze. Eppure si calcola che, di questo passo, tra dieci anni gli squali potrebbero essere scomparsi completamente.
Se scompaiono gli squali, l’Oceano muore. Quello stesso Oceano che produce il 50% dell’ossigeno che respiriamo, e assorbe il 25% dell’anidride carbonica che emettiamo. Se muore l’Oceano, moriamo noi.
Non ci resta, dunque, che salvare gli squali.
Per questo è necessario votare la campagna Stop Finning — Stop the Trade (#StopFinningEU) che, sfruttando lo strumento ufficiale UE dell’iniziativa dei cittadini europei, permetterà di portare in discussione in Commissione Europea la proposta di proibire il commercio di pinne di squalo in Europa. Perché l’iniziativa abbia successo però è necessario arrivare ad un milione di voti entro gennaio 2022 e a 55.000 voti in Italia.
Proteggere gli squali non è solo una lotta etica per evitare un massacro ad un animale in via d’estinzione. È anche una guerra per la sopravvivenza: la nostra.
Qua sotto il link per firmare:
Mentre per avere maggiori informazioni:
Ogni singolo voto conta!