Territorio e cultura. Sono questi i due punti fermi dai quali muovono, e ai quali tornano, i contributi ricevuti sul tema della legalità e della lotta alla criminalità organizzata. Territorio, e quindi amminstrazioni comunali, anche quelle dei piccoli e innumerevoli Comuni di cui è fatto questo Paese. Perché — ci ricorda il comitato “Novara per Civati” — “a fronte di grandi realtà come Milano o Torino, ove addirittura sono costituite delle Commissioni Antimafia, vi sono innumerevoli città o piccoli centri abitati, veri e propri avamposti strategici, attenzionati da coloro che pianificano grandi interessi illeciti e ignorati da una politica miope che non ha saputo gestire questa erosione, spesso silenziosa e strisciante, del nostro Paese”. È il caso, ad esempio, di Romentino (Novara), il cui sindaco, nel gennaio 2010, confrontandosi con Nando Dalla Chiesa, definiva “un’isola felice”. “Dieci minuti dopo veniva reso noto a tutti che la stessa sera Ettore Marcoli era stato ucciso nella cava di proprietà della sua famiglia. Davanti alla realtà gli amministratori si trincerano dietro la rimozione totale, l’incredulità e la negazione dell’evidenza, come se il rischio di infiltrazioni fosse una macchia indelebile sul “buon nome” del paese. Abbiamo avuto troppe conferme che la malavita usa e intende usare il nostro territorio come discarica: l’omicidio serviva proprio per mettere le mani sulla cava in previsione di Expo e dello smaltimento dei terreni contaminati”.
Ecco perché, concludono i novaresi, “il Partito Democratico può e deve farsi carico di un cambiamento nel Paese che parta dal proprio interno e dai territori. Stimoliamo e chiediamo impegno ad ogni Comune, dove il PD governa, affinché vengano assegnate deleghe o incarichi ad assessori o consiglieri, su ‘studio e contrasto del fenomeno delle criminalità organizzate’. Parallelamente, all’interno delle segreterie regionali, provinciali e locali dei circoli, stimolare analoga attenzione con deleghe o incarichi specifici. Il beneficio sarà degli stessi centri abitati, di tutti i territori e certamente di quelli contigui, dei rispettivi amministratori che avranno dei corrispettivi con cui confrontarsi e ‘fare rete’, per non essere isolati e lasciati soli”. Guarda agli amministratori anche Paloma, da Milano, che propone di “Rendere obbligatoria la sottoscrizione della Carta di Pisa da parte degli amministratori locali e di adottare un codice etico analogo per tutto il settore della Pubblica Amministrazione”. E tutto ciò va affiancato ad un lavoro culturale, per rimuovere la “rimozione” di cui si diceva sopra, parlandone scientificamente “nelle scuole, nelle università e sui posti di lavoro, perché conoscenza e coscienza sono il primo strumento di contrasto alla criminalità organizzata”. Un esempio che tiene assieme la consapevolezza e l’azione e la “questione territoriale”, citato da Paloma, è il modello di “Consumo critico” della FAI ( www.antiracket.info) “in modo da riuscire a stilare per il territorio milanese un database di tutti i commercianti-imprenditori che dicono ‘no al pizzo’, ovviamente su base volontaria”.
Come Paloma, dalla Lombardia scrive la senatrice Lucrezia Ricchiuti (della quale abbiamo già parlato), e il tema è sempre quello, il controllo del territorio, e Lucrezia ci spiega il perché: “controllare il territorio significa non dover più utilizzare in modo evidente la violenza. Questo è uno dei motivi per cui in tanti, troppi, sostengono per esempio che le mafie al nord non esistono […] Mentre lo Stato a seguito delle stragi del 1992 si è concentrato nella lotta alla mafia siciliana, altre mafie come le camorre e soprattutto la ‘ndrangheta si sono rafforzate e hanno colonizzato territori un po’ in tutte le regioni italiane e all’estero. Oggi la ‘ndrangheta ha il semimonopolio del traffico di cocaina in Europa, ma altre attività che conduce con profitto sono l’estorsione, l’usura, il riciclaggio di danaro di provenienza illecita, il traffico illecito di rifiuti, il movimento terra e l’edilizia, il commercio e la ristorazione, il gioco d’azzardo e ultimamente anche i ‘compro oro’”.
Oltre che per ragioni economiche — come è ovvio che sia — ci sono anche ragioni squisitamente giuridiche che hanno spinto la ‘ndrangheta alla colonizzazione. “Uno di questi motivi — prosegue Lucrezia — è che in molte regioni del Nord i Tribunali non applicano il 416 bis (l’articolo del codice penale che riconosce l’esistenza della struttura mafiosa) e non continuano ad applicarlo neppure dopo alcune sentenze della Cassazione perché non c’è la cultura e la conoscenza del fenomeno mafioso: le ‘famiglie’ di ‘ndrangheta tengono un basso profilo, sviluppano buone relazioni con il vicinato, evitano omicidi e violenze, si mimetizzano e in poco tempo ricreano le stesse condizioni del paese d’origine per sviluppare i loro sporchi affari, ma senza mai rescindere il cordone ombelicale con la Calabria e con il capo dei capi — che essi stessi chiamano ‘Crimine’ — che in caso di controversie ha sempre l’ultima parola. Dove tutto è apparentemente tranquillo — pensate al caso di Romentino, in provincia di Novara, che abbiamo citato prima — difficilmente ci si riesce ad immaginare che invece imprenditori siano pesantemente intimiditi e condizionati, che l’usura è largamente praticata ma quasi mai denunciata, che il traffico illecito di rifiuti è reso possibile da imprenditori conniventi. Nessuno si immagina che al nord si costruiscano abusivamente interi condominii, capannoni, ville. Nessuno si immagina che titolari di aziende apparentemente immacolati sono solo dei prestanome di ‘ndranghetisti. Nessuno si immagina che il successo politico di tanti uomini di successo è dovuto ai voti comprati dai mafiosi. Il capitale sociale della mafia, come bene ci hanno descritto gli inquirenti, è costituito da tutte quelle relazioni che i mafiosi hanno con politici, con imprenditori, con giudici corrotti, con forze dell’ordine infedeli, con liberi professionisti, con funzionari pubblici. I magistrati ci dicono anche che non necessariamente sono i mafiosi a cercare il loro ‘capitale sociale’: molto spesso la relazione, la richiesta, viene dall’area grigia, dai colletti bianchi, dagli uomini cerniera come tante indagini hanno dimostrato. Le mafie stanno inquinando il tessuto economico perché inquinano il mercato. Le aziende sane non possono competere con quelle che non fanno ricorso al prestito bancario perché hanno una disponibilità infinita di danaro a zero costo derivante dai loro traffici illeciti. Non possono competere con le aziende mafiose che assumono i lavoratori in nero, senza tutele sindacali. Non possono sopportare i costi delle tangenti per non subire furti e incendi nelle loro aziende”.
“Fino ad oggi — prosegue la senatrice Ricchiuti — non c’è stata la volontà politica di combattere efficacemente le mafie perché le mafie garantiscono voti e consenso sociale. Questo non è più tollerabile e dobbiamo assolutamente prenderci la responsabilità di cambiare le cose. Abbiamo una buona normativa antimafia anche se migliorabile e il sequestro e la confisca dei beni sono norme che colpiscono al cuore gli interessi dei mafiosi. Ma ciò non basta se non combattiamo efficacemente e con una normativa efficace la corruzione, il riciclaggio, l’evasione, il falso in bilancio, strumenti che le mafie utilizzano per fare i loro affari. Fino ad oggi non solo non si è fatto nulla ma si è addirittura resa più complicata la possibilità di perseguire alcuni reati come il falso in bilancio o la prescrizione breve. Servono soldi e uomini da dedicare alla repressione delle mafie per restituire ai cittadini i loro territori e la loro libertà ma soprattutto serve una politica pulita, che risolva i problemi della gente. Servono politici che perseguano il bene comune e non i loro interessi privati”.