[vc_row][vc_column][vc_column_text]Tornare alle cose umane, dopo tante analisi fatte di statistiche, numeri e tendenze: era il primo obiettivo che mi sono posto quando ho cominciato a mettere insieme le storie di lavoro mal pagato e sfruttamento raccolte nei mesi della campagna Giusta Paga. Il titolo del libro, «Senza più valore», è emerso soltanto alla fine, quando nel rivedere il quadro complessivo ci si è resi conto che le storie raccontano di corse in bicicletta, di fatica manuale, di professionalità che — se guardate dal lato della retribuzione — non valgono più nulla.
Certamente i numeri non sono spariti, in «Senza più valore». Potrete ritrovare alcune delle consuete analisi ma questa esplorazione nel mondo del lavoro segue nel metodo quel calarsi nel profondo dell’abisso che aveva ispirato Jack London nel lontano 1902 quando entrò nella East London, quartiere ghetto della povertà più oscena. «Voglio andare nell’East End a vedere le cose di persona. Voglio sapere come vive quella gente, perché vive là e per che cosa vive. In breve, andrò a vivere là», diceva lo scrittore a chi cercava di dissuaderlo dall’entrare nell’abisso.
Nell’esperienza di «Senza più valore», non sempre è stato possibile conoscere i protagonisti e — soprattutto — chiamarli per nome e cognome. Le persone soggette a condizioni lavorative precarie o degradanti hanno paura, paradossalmente, di perdere quell’unica fonte di guadagno. Perché si lavora per vivere e non ci si può permettere passi falsi. Perché il popolo ‘senza valore’ resta aggrappato in qualche maniera e fa di tutto per non sprofondare in quell’abisso. Mimouna, bracciante agricola, si è spezzata la schiena nei campi intorno a Castelnuovo Scrivia per sei anni. Che cosa ha reso la fatica — tutta quella fatica — improvvisamente insopportabile? Mimouna ha forse tollerato di essere pagata poco, ma non di non essere pagata per niente, con tutto quel lavoro svolto nella raccolta degli ortaggi. Quegli ortaggi che finiscono sui banconi dei supermercati della grande distribuzione, a prezzi stracciati. Lei se li poteva permettere i pomodori freschi ma solo ogni tanto, certamente non tutte le sere, certamente in misura molto limitata. Ma se sei sull’orlo dell’abisso, non vuoi comparire. Non puoi. Il tuo nome, esposto improvvisamente alla luce del pubblico, ti toglierebbe anche quel poco, quella misera paga. Allora sì che sprofonderesti del tutto.
Anche Baggio, il protagonista della storia con cui si apre il libro, non può mostrarsi. È un ciclo-fattorino di Glovo ed è pagato a cottimo per le consegne in bicicletta. Baggio non è affatto un giovane che rende felici gli altri e gode dei ‘benefici’ della flessibilità, come vorrebbe la narrazione fatta sui siti delle applicazioni di food delivery. Ha difficoltà a rientrare nel mondo del lavoro dopo un’esperienza fallita. Lo incontro al corteo del primo maggio a Milano. Sulle spalle porta lo zaino termico con il marchio di Glovo, vuoto. Appena gli chiedo di poter scrivere di lui, si trincera in un atteggiamento di chiusura. È stato allora che ho pensato a quel nome, Baggio, come se bastasse una maschera per difendersi dalla spietatezza del potere.
Contribuendo al crowdfunding di «Senza più valore», permetterai a queste storie di avere una dignità, di essere raccontate. Darai sostegno alla raccolta fondi per pagare le spese legali dei braccianti di Castelnuovo Scrivia, vessati da una richiesta danni milionaria da parte dei titolari dell’impresa che li sfruttava solo perché hanno scioperato e protestato contro la loro condotta antisindacale.
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