Il Presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, ha reiterato l’apertura entusiastica all’attuazione dell’autonomia differenziata verso cui corre ad ampie falcate il neo-insediato Governo Meloni. Possibile Toscana ribadisce la propria ferma opposizione ad una riforma che, dietro il paravento di una (presunta) più efficiente ripartizione di competenze tra Stato e Regioni, è invece destinata ad approfondire divari e disuguaglianze. Se la sintonia con il Ministro Calderoli sul tema non ci sorprende, riteniamo grave che a poco più di un mese dalle elezioni il PD si accodi a un’iniziativa che comporterebbe una profonda modifica dell’assetto istituzionale, destinata a spezzare il Paese e a stravolgere la lettera della Costituzione.
Le ragioni del nostro no all’autonomia differenziata muovono da un principio generale, quello per cui i diritti dei cittadini non dipendono dal territorio di residenza. Ci sembra che da quando il Governo Gentiloni, a quattro giorni dalle elezioni politiche del 2018, avviò un processo di attribuzione di maggiore autonomia alle regioni (Emilia Romagna, Lombardia e Veneto) che ne avevano fatto richiesta ai sensi dell’art 116 comma 3 della Costituzione, questo principio generale stia vacillando pericolosamente.
Da allora nel dibattito pubblico il tema della cosiddetta “autonomia differenziata” ha preso sempre più spazio nel lessico politico, alla stregua del termine — improprio — di “governatore” per indicare la presidenza della regione. Espressioni che si sono imposte nell’uso mediatico e politico, suggerendo tuttavia una realtà ben distante da quella enunciata nella Costituzione.
Nella storia recente del nostro Paese, i tentativi di fuga in avanti verso l’autonomia di singole regioni (come Veneto e Lombardia) non sono certo mancati. Dopo la cocente sconfitta della pars politica che fu intrigata negli anni Novanta dalla via della secessione e la bocciatura della riforma costituzionale del 2006, si è dovuto prendere atto dell’impossibilità di una revisione del nostro ordinamento costituzionale in senso federale. La Riforma del Titolo V, approvata nel 2001 da un referendum confermativo, aveva riportato il tema dell’autonomia regionale dentro una cornice di decentramento ispirata dall’art. 5 della Costituzione. Una riforma, quella del Titolo V, piena di pecche, che hanno innescato continue tensioni tra Stato e Regioni, arginate solo dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale.
Negli ultimi anni le rivendicazioni autonomiste di Lombardia e Veneto hanno incassato l’appoggio convinto, forse insperato sul piano politico ed ideologico, da parte del Presidente della Regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, e oggi anche del Presidente Giani. La richiesta di maggiori poteri eccede tuttavia la lettera dell’art. 116, terzo comma, che prevede la possibilità di attribuire forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario in tutte le materie affidate a competenza legislativa concorrente.
Noi crediamo che la rivendicazione pretestuosa delle suddette regioni non sia giustificata da nessuna peculiarità o diversità da tenere in debita considerazione. Non ci sembra casuale che nelle proposte di legge elaborate dalle regioni (dopo aver inizialmente addirittura ipotizzato, in Veneto, di trattenere nelle mani della regione i nove decimi dei tributi erariali riscossi localmente) si accetti sì di abbandonare l’insopportabile criterio della spesa storica, ma si cerchi di agganciare tale scelta al criterio dei fabbisogni standard espressi dal territorio, che inevitabilmente perpetuerebbero le sperequazioni territoriali. Il regionalismo differenziato non deve portare ad una differenziazione dei diritti su base regionale. Come esplicitato dall’art. 120 della Costituzione, i diritti civili e sociali non sono “regionalizzabili” e devono essere assicurati «prescindendo dai confini territoriali dei governi locali».
Crediamo che, al contrario, sia necessario orientare l’agire politico verso una maggiore perequazione territoriale, affinché diritti e servizi sociali siano pienamente garantiti a tutta la cittadinanza. La Costituzione esprime una dimensione sociale preziosa, che il pensiero liberista dominante mal digerisce. Le dichiarazioni del Presidente Giani confermano quanto questo pensiero sia ormai trasversale all’arco politico. L’autonomia differenziata, per come è interpretata e per come la si vorrebbe applicare, è espressione di questa deriva, che dei diritti sociali non vuole più sentir parlare.
Toscana Possibile