Non serve una nuova analisi sui limiti, le incongruità e le probabili incostituzionalità del Rosatellum. Già altri commentatori si sono cimentati con intelligenza e dottrina e io non sarei in grado di aggiungere molto di più. Preferisco utilizzare questo spazio per fare il mio mestiere di consulente politico e chiedermi “anche se la legge non ci piace, cosa possiamo fare per sfruttarne al meglio le possibilità che offre?”
Innanzitutto un punto positivo: ritornano i collegi uninominali. Ritornano nel modo peggiore e più ambiguo, ma ritornano e questo apre delle opportunità e impone delle scelte. Infatti, la logica intrinseca del collegio favorisce la costruzione di un legame stretto tra eletto e territorio e impone a ogni forza politica di candidare una personalità stimata e conosciuta, capace di essere aggregante anche oltre il recinto stretto del proprio partito, così da costruire un rapporto rappresentativo di tipo mandatario basato sulla fiducia da una parte e sulla conoscenza del territorio dall’altra. Aver impedito anche solo la discussione sul voto disgiunto ha reso impossibile chiarire come questo non sarebbe stato un aiuto a un qualche partito ma, all’opposto, avrebbe rappresentato per l’intero sistema un vincolo a selezionare candidature di profilo alto, dando nel contempo all’elettore la possibilità di una doppia scelta: la persona che più stima per rappresentare il proprio territorio e il partito del cuore per soddisfare il proprio bisogno di identificazione politico/ideologica.
L’anomala maggioranza che ha sostenuto il Rosatellum ha dimostrato di essere incapace di una lettura “alta” del principio di rappresentanza politica, ma questo non deve impedirci di seguire una strada diversa, anzi ci obbliga a far vedere alle nostre comunità che un altro modo di scegliere i candidati è possibile. Quindi in ogni collegio scegliamo un candidato/a residente sul territorio, persone con una vita e una storia in mezzo alla gente che dovrebbero rappresentare e non visitors giunti da un altro pianeta, rendendo chiaro agli elettori che esiste un solo tipo di “voto utile”: quello dato a un candidato che si stima e che li potrà rappresentare degnamente.
Individuare e selezionare oltre 300 candidati uninominali credibili rappresenterà una sfida politica e organizzativa non da poco, ma se ci riusciremo saremo noi ad essere “aggreganti” rispetto ad altri partiti che – presumibilmente – adotteranno scelte di ben più basso profilo. Non sarà facile, ma provarci sarà doveroso e potrebbe risultare sorprendentemente pagante.
Poi c’è la parte proporzionale, con le candidature multiple e le liste bloccate. Noi abbiamo combattuto in ogni sede per eliminare la possibilità che la stessa persona possa candidarsi in 6 posti diversi nell’arco della medesima giornata (un collegio uninominale e 5 circoscrizioni plurinominali bloccate), ma non siamo stati ascoltati. A questo punto la scelta è duplice: ci sacrifichiamo non utilizzando questa perversa opportunità oppure applichiamo fino in fondo le pessime regole che ci hanno imposto.
Su questo la mia posizione – forse minoritaria è – “la legge l’abbiamo contrastata come abbiamo potuto ma non c’è ragione di farci trascinare al rogo cantando con il cuore lieto come certi eretici medievali”. E quindi sfruttiamo l’orrore delle candidature multiple per avere i nostri esponenti di spicco capilista in ogni Regione, che ci aiutino con la forza e il prestigio del proprio nome a portare avanti – territorio per territorio – una sfida difficilissima e dall’esito incerto. E completiamo il resto della lista cercando di seguire la strategia già descritta per il collegio uninominale: candidature di uomini e donne espressione delle diverse realtà politiche, territoriali e sociali della propria circoscrizione, che conoscano la propria comunità e ne siano riconosciuti.
Non sono un ingenuo, so che non sarà facile comporre le liste avendo ben pochi “seggi sicuri” da garantire e potendo, pertanto, confidare solo sulla passione civile dei singoli. Ma sarà un test sulla nostra capacità di costruire una classe dirigente che, forse, solo in minima parte sarà eletta oggi, ma sulla quale potremo fondare il radicamento dell’immediato futuro. Questo aspetto impone ancor di più cautela nelle scelte: non candidiamo gente che il giorno dopo il voto tradisce “per senso di responsabilità” (!!!) …
Che l’esperienza del 2013 sia di perenne monito per tutti.
Terzo aspetto della legge: le finte coalizioni e il loro capo. La via maestra, quella dignitosa, sarebbe stata la creazione di coalizioni nazionali con una leadership riconosciuta e un programma comune. Ma non viviamo in tempi di “vie maestre e dignitose”, si è scelta la strada fangosa delle coalizioni a geometria variabile, dei “patti feudali” a scapito della chiara assunzione di responsabilità verso la società italiana e – soprattutto – si è mantenuto l’obbligo di indicazione del “capo” della forza politica. Anche noi dovremmo indicare un “capo”, la legge lo prevede e – anche se certe terminologie bulle ci infastidiscono – non possiamo sottrarci all’obbligo.
Trasformiamo anche questo in una opportunità: dobbiamo indicare un uomo o una donna capace di parlare in pubblico e toccare la mente e il cuore della nostra gente, non una figura grigia espressione di estenuanti negoziati dentro il sinedrio delle segreterie di partito. Una persona di coraggio e di eloquio, che nei dibattiti pubblici e negli incontri con la gente sappia emergere e brillare. Persone così ne abbiamo, e possiamo trovare una figura in grado tanto di rappresentare le diverse sensibilità di ciascuno che dimostrarsi “attrattiva” nei confronti dell’elettorato, senza dover ricorrere alla figura del papa straniero, suggestione sempre presente nel dibattito a sinistra.
Giorni fa rileggevo alcune parti di un vecchio libro sul comportamento elettorale, I voti che contano di Gary Cox, pubblicato dal Mulino nel 2004. Si tratta di un libro complesso ma che ha un’idea di fondo molto chiara: le regole elettorali impongono opportunità e vincoli sia agli elettori che ai partiti inducendo a comportamenti volti a massimizzare l’utilità del singolo voto.
Si tratta di quello che tecnicamente viene chiamato “coordinamento strategico” e non si crea all’istante, ha bisogno di tempo per consolidarsi (per questo le leggi elettorali non andrebbero cambiate spesso) ma è fondamentale il primo utilizzo della nuova legge per creare un imprinting virtuoso con gli elettori, consentendo loro fin da subito di comprendere chi cerca di riallacciare i filo spezzato della rappresentanza tra cittadini e istituzioni e chi – invece – vede nella competizione elettorale solo un fastidioso intoppo verso un “governissimo” di centro-centrodestra destinato a perpetuare la palude nella quale ci troviamo.
Marco Cucchini
Docente universitario, consulente politico