Da Econopoly, blog del Sole 24 Ore.
di Enrico Verga — @enricoverga
Ora, affrontiamo il tema franchigia. È un dato di fatto che molte piattaforme estrattive restino sotto le quote di franchigia. Non ci vuole un genio con Mba ad Harvard per capire che se tu compagnia energetica resti sotto franchigia non pagherai le royalty (pur basse) allo Stato.
Votando Sì al referendum gli italiani otterrebbero limiti temporali per le concessioni definiti (in pochi anni). Quindi, banalmente, le compagnie energetiche dovrebbero (si suppone) estrarre più prodotto possibile entro i termini previsti. Sfondando le quote di franchigia e quindi pagando più royalty. Il tutto a vantaggio della comunità locale e nazionale.
Sembra chiaro (ma non voglio influenzare nessuno) che votare Sì andrebbe a vantaggio dell’Italia. Ma restano due temi che comunque, nel caso si voti Sì, è doveroso menzionare. Il primo è squisitamente economico privatistico. Votando Si possono aver luogo due eventi. Il primo è molto semplice: se obblighi le aziende a estrarre più velocemente i loro piani economici saranno sballati. Seconda cosa, da non dimenticare: in pratica scatterà l’obbligo di smantellare le piattaforme non più operative (che a leggere i dati del ministero dello Sviluppo economico sono un discreto numero). Queste piattaforme una volta smantellate non hanno valore commerciale, sono semplicemente obsolete, dei giganteschi rottami. Tutte queste spese saranno ascritte nei bilanci delle società energetiche che si ritroveranno, con la congiuntura del petrolio a prezzi bassi, ad ingoiare un bel boccone amaro. Questo scenario spingerà le aziende energetiche fossili a investire di più in Italia? Non credo.