Dopo il Partito del Lavoro e la Groenlinks, nell’ultima tappa del nostro viaggio nella sinistra olandese ci occupiamo del Partito Socialista (SP). La SP olandese nasce nel 1971 come Kommunistiese Partij Nederland/Marxisties Leninisties (KPN/ML) e assume il nome di Socialistiese Partij (SP) nel 1972.
Nei primi anni di vita il partito ha un’impronta marcatamente maoista, tanto da essere sostenuto anche finanziariamente dal regime cinese. A partire dal 1975 ha luogo una progressiva “demaoizzazione” del partito che lo porterà nel giro di un decennio sotto la leadership di Jan Marijnissen a diventare un partito di tipo socialdemocratico, pur mantenendo una posizione alquanto originale nel panorama dei partiti di sinistra europei per quanto attiene alcuni temi, tra cui quello dei lavoratori stranieri provenienti dai paesi di religione musulmana. In uno studio pubblicato dal partito nel 1983 ed intitolato “Lavoratori Stranieri e Capitale” si evidenziava come la mancanza di politiche di integrazione da parte dei governi olandesi dell’epoca costringesse di fatto le masse di lavoratori provenienti da Turchia e Marocco ad una condizione priva di prospettive, in quanto non permetteva loro di partecipare assieme ai loro compagni olandesi alla lotta contro il capitale. Due possibilità rimanevano quindi a questi lavoratori stranieri secondo questo studio: chi non avesse voluto integrarsi nella società olandese avrebbe dovuto ritornare nel proprio paese di origine, aiutato in questo anche finanziariamente dallo stato. Chi invece sceglieva di rimanere avrebbe dovuto impegnarsi a seguire corsi di lingua, usi e costumi olandesi che gli dessero l’opportunità di conoscere quali fossero i suoi diritti e doveri di cittadino.
Dal 2010 il partito è guidato da Emile Roemer (nei Paesi Bassi il leader di un partito non è il segretario politico ma il capogruppo alla camera bassa). Alle ultime elezioni europee il partito ha ottenuto due seggi: i suoi due rappresentanti fanno parte del gruppo GUE/NGL (Sinistra Unita Europea/Sinistra Verde Nordica).
Nell’ultimo congresso tenutosi a Tilburg il 14 gennaio scorso la maggioranza dei delegati, riconfermando Roemer alla guida del partito, per quanto riguarda i temi di politica estera si è espressa in favore del riconoscimento della Palestina e per lo stop agli accordi con la Turchia, mentre è stata bocciata una mozione a favore dell’uscita dell’Olanda dalla NATO.
Il partito si impegna preventivamente a non fare alcun accordo con i liberali della VVD di Mark Rutte, oggi al governo (definiti più volte nel corso del congresso “briganti neoliberali”). Per contro, il PVV del populista di destra Gert Wilders è stato nominato solo una volta durante il congresso.
Il motto del partito alle prossime elezioni è “stare accanto alla gente”. La SP si propone come il partito della “heem”, un termine traducibile in italiano in modo forse inadeguato come “comunità di appartenenza”, un luogo cioè dove gli “altri” non sono visti come dei concorrenti ma piuttosto come dei vicini o dei colleghi e dove chi vuole entrare è il benvenuto purché collabori. In un’intervista rilasciata qualche giorno prima del congresso, il segretario del partito Ron Meyer si è riferito al “Wir schaffen das” (“ce la facciamo”) con cui Angela Merkel ha dato il via alla politica di apertura nei confronti dei rifugiati, come esempio di come la grande impresa tedesca sia alla ricerca di manodopera straniera a basso costo. Secondo Meyer non è accettabile che chi si permette di indicare gli svantaggi dell’immigrazione venga automaticamente considerato un razzista.
La SP si rivolge a quegli elettori che in prima istanza avrebbero intenzione di votare il PVV di Wilders, per dimostrargli che gli iscritti della SP stanno al loro fianco, conoscono ed abitano i loro stessi quartieri e sanno fornire soluzioni concrete ai loro problemi.
I risultati delle elezioni del prossimo 15 marzo ci diranno se il partito guidato da Roemer riuscirà a mantenere gli attuali quindici seggi alla camera bassa: gli ultimi sondaggi lo danno al 9% dei voti come seconda forza della sinistra dietro alla Groenlinks di Klaver (11%) e davanti al Partito del Lavoro (8%) che viene indicato come il probabile grande sconfitto. A contendersi il posto di primo partito nei sondaggi sono la VVD dell’attuale premier Mark Rutte (16%) ed il PVV di Wilders (15%).