Lo scorso 28 febbraio, sotto il governo Gentiloni, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega agli Affari regionali e le Autonomie Gianclaudio Bressa e il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia, hanno sottoscritto una accordo per l’attribuzione alla Regione Veneto dell’ autonomia differenziata, cioè di forme e condizioni particolari di autonomia ai sensi dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione.
La pre-intesa è stata sottoscritta, oltre che dal Veneto, anche da Lombardia ed Emilia Romagna, ma già altre Regioni – tra cui Campania e Piemonte — hanno mostrato di volersi aggregare, come prevedibile.
Con l’insediamento del nuovo Governo è stata presentata una proposta di Decreto Legge Delega che nei prossimi giorni sarà discussa al Consiglio dei Ministri e successivamente presentato ad una Camera perché si avvii l’iter legislativo.
Tra i principi e criteri direttivi, riguardo l’istruzione (una delle 23 materie su cui il Veneto acquisterebbe autonomia di intervento), figurano le competenze legislative e amministrative rispetto alla programmazione dell’offerta formativa tout court, l’assegnazione di contributi alle scuole paritarie ( quelle che per la Costituzione dovrebbero esistere “senza oneri per lo Stato”), i fondi per l’edilizia scolastica, la regionalizzazione dei fondi statali per il sostegno del diritto allo studio universitario e quella del personale della scuola.
La posizione del Movimento 5 Stelle, che pure a livello locale ha votato il provvedimento, se da un lato rassicura circa il fatto che la regionalizzazione dell’istruzione non è prevista dal contratto di Governo e che non si possa permettere che ognuno si faccia le regole che vuole, dall’altro ci dice che “Questo non deve pregiudicare, comunque, un certo grado di autonomia che ciascuna regione giustamente rivendica per una gestione interna ottimale delle risorse umane ad essa assegnate” e che “è necessario e indispensabile rivedere sia il piano di reclutamento che le regole della mobilità del personale docente e non docente”.
Da quanto si legge nel testo dell’accordo, la richiesta più grave appare quella di legare la distribuzione dei fondi statali ai “fabbisogni standard”, calcolati non solo sul reale fabbisogno dei territori, ma anche in base al gettito fiscale, cioè alla ricchezza dei cittadini: in questo modo una regione più ricca avrà scuole con un’offerta formativa più variegata, un’alternanza scuola lavoro di qualità, una maggiore attenzione all’istruzione degli adulti e più borse di studio per le Università.
Il sistema di istruzione italiano è però nazionale e non è pensabile che possa entrare in logiche tese a frammentarne il principio cardine: il diritto allo studio per tutte e per tutti, con le stesse opportunità, come garantito dalla Carta costituzionale.
Il rischio che si inneschi un pericoloso meccanismo di competizione tra Regioni è alto, così come quello che, inevitabilmente, la qualità dell’istruzione possa essere declinata secondo criteri economici e territoriali che metterebbero in pericolo la stessa libertà di insegnamento, arrivando addirittura a contenere la mobilità del corpo docente solo all’interno dei confini regionali.
La scuola pubblica statale ha radici profonde di eguaglianza e libertà, collante indispensabile tra territori e tra generazioni; occorre vigilare affinché la missione fondativa della Lega non si compia con la rottura dell’unità nazionale attraverso la disgregazione della sua istituzione più rappresentativa.
Per il Comitato Scuola di Possibile,
Eulalia Grillo