Carlo Fusaro, costituzionalista dell’Università di Firenze, rientra tra i più convinti sostenitori della riforma costituzionale, e non da oggi, avendo partecipato attivamente al processo di revisione. E’ stato, ad esempio, audito in Parlamento, in particolare sulla questione della non elettività del Senato e alle funzioni che questo dovrebbe svolgere, in rappresentanza degli enti territoriali.
Ci affideremo perciò alle sue parole per capire se i nuovi senatori saranno eletti dai cittadini o dai consiglieri regionali. E per cercare di capire, soprattutto, il pasticcio contenuto nella riforma Renzi-Boschi, che prevede un Senato non eletto direttamente dai cittadini sul quale si è mercanteggiato tanto da rendere possibile qualsiasi interpretazione, anche la più strumentale ed elettoralistica, come ci insegnano il presidente Matteo Renzi e la ministra Maria Elena Boschi — secondo la quale, se i senatori fossero eletti direttamente dovrebbero necessariamente votare la fiducia (e così non è: non sono eletti direttamente e non votano la fiducia):
In tutto questo susseguirsi di contraddizioni, resta fermo il caposaldo principale della riforma, che recita: «I Consigli regionali eleggono, con metodo proporzionale, i senatori fra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, fra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori».
Ma procediamo, come anticipato, con le parole del professor Fusaro:
«… questo ramo del Parlamento intervenne a sua volta l’anno scorso in prima lettura con modificazioni incisive, peraltro facendo salva la sostanza della proposta iniziale» tra i cui paletti risulta la «composizione indiretta del nuovo Senato di rappresentanza territoriale»
«… i senatori – siano essi consiglieri senatori o sindaci senatori – durano in carica quanto il Consiglio regionale che li ha eletti»
«… nel caso in cui il Consiglio regionale si sciolga […], anche tutta la delegazione al Senato di quella Regione conclude il suo mandato (incluso il sindaco senatore): sarà rieletta dal nuovo Consiglio regionale»
«In altre parole, tutto si tiene: e si tratta di ben sei articoli (57, 58, 63, 66, 68, 69) tutti votati nella stessa formulazione in entrambe le Camere […]. Un complesso organico e coerente di disposizioni: ben quindici commi (più i due soppressi dell’ex art. 58), tutti sistematicamente connessi e vocati a disegnare il nuovo Senato di rappresentanza territoriale a elezione indiretta da parte dei Consigli regionali»
«… da un punto di vista giuridico si potrebbe, lo dico per assurdo (a mio avviso), rimettere in discussione l’estrazione regionale indiretta dei senatori, ma solo contraddicendo platealmente lettera e spirito del Regolamento del Senato, per il che occorre – per consuetudine, appunto — non una qualsivoglia maggioranza, ma l’accordo di tutti, di tutti i gruppi e di tutti i senatori: possibile solo se nessuno si oppone» (e infatti non si seguì questa strada).
«… si stravolgerebbe radicalmente il progetto già approvato, si realizzerebbe un clamoroso gioco dell’oca con ritorno alla casella iniziale»
«… sarebbe di fatto l’affossamento del più compiuto e serio tentativo di riforma della Costituzione dal 1948 ad oggi, in frontale contraddizione con lo spirito del 22 aprile 2013. Ciò inoltre – naturalmente – delegittimerebbe la credibilità del Governo in carica e della sua maggioranza che hanno legato a questa proposta il destino proprio (e della legislatura), annunciando sin dall’inizio disponibilità su tutto tranne che su quattro punti: senato eletto indirettamente, senato senza rapporto fiduciario, scelte finali sul bilancio alla Camera, senatori senza indennità parlamentare».
«Ma, aggiungo, trovo non condivisibili e pasticciate anche alcune delle formule di ipotizzato compromesso che sono state informalmente ventilate e mai precisate in testi precisi. Mi riferisco all’idea balzana di delegare alla legislazione statale e regionale di attuazione il compito di individuare forme di indicazione in sede elettorale dei consiglieri regionali destinati ad essere poi eletti senatori. A parte che ciò ovviamente non sarebbe neppure immaginabile per i 21 sindaci (quindi per 21 senatori su 95), con conseguente differenziazione di incerta e non auspicabile valenza».
«… qualsiasi forma di diretto collegamento fra voto popolare nella regione e investitura dei senatori consiglieri deve ritenersi un non senso, una contraddizione, un limite»
«Che senso avrebbe avere in Senato componenti che devono la loro elezione non all’istituzione nella quale rappresentano il proprio partito e i cittadini, ma direttamente ai cittadini medesimi? Come non capire che le logiche di comportamento non potrebbero che mutare rispetto a quelle attese e che ogni possibilità di coerenza con quel “rappresentano le istituzioni territoriali” finirebbe col vanificarsi?».
Risulta senza dubbio evidente quale fosse l’impostazione teorica, condivisibile o meno, dalla quale muoveva la riforma, e che prevedeva (e prevede) un Senato non eletto dai cittadini, ma dai Consigli regionali. Un’impostazione che trova sostanza nel nuovo articolo 57 («I Consigli regionali eleggono…»), cui seguono sgrammaticate precisazioni-che-non-lo-sono, che, nella speranza di assecondare la minoranza del Partito Democratico, introducono elementi contraddittori, ma che non scalfiscono il principio di partenza: i senatori non saranno eletti dai cittadini, ma dalla classe politica regionale.
Quando si riforma la Costituzione bisogna procedere a piccoli passi, in maniera precisa, evitando contraddizioni all’interno del testo che regola il nostro convivere. E bisogna avere il coraggio di fermarsi, se la strada intrapresa porta a soluzioni di bassa cucina parlamentare e partitica. Meglio fermarsi. Meglio dire No.