[vc_row][vc_column][vc_column_text]L’approvazione all’unanimità in Consiglio dei ministri dei decreti voluti da Matteo Salvini, riguardanti sicurezza e immigrazione, confermano almeno due cose: la prima è che Matteo Salvini si è messo in tasca tutto il Movimento 5 Stelle, incapace di esprimere una sola voce in dissenso; la seconda è che la Lega cambia nome e segretario, ma come già successo con la legge Bossi-Fini si conferma campione del mondo nel creare problemi al nostro paese in maniera scientifica, articolo dopo articolo, comma dopo comma.
Il decreto Salvini parte da un assunto falso e cioè che coloro che hanno diritto alla protezione umanitaria siano dei “falsi profughi”, “finti rifugiati”, come ama chiamarli. Questo perché scappano da paesi nei quali “non c’è nessuna guerra”, come ripete ossessivamente. Il diritto a ricevere protezione, però, non è subordinato all’esistenza di guerre nel paese dal quale si scappa, ma alla storia individuale del richiedente asilo. L’articolo 10 della nostra Costituzione prescrive infatti che ha diritto d’asilo in Italia il cittadino straniero «al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana», mentre il diritto internazionale, citando l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, ha consolidato il divieto di espellere o respingere «in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate». Per queste ragioni, per dare piena attuazione a queste prescrizioni e in accordo con la normativa europea, l’Italia ha introdotto l’istituto della «protezione umanitaria», riconosciuta nel caso in cui non vi siano gli estremi per riconoscere l’asilo o la protezione sussidiaria, ma ricorrano comunque «seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano». Il decreto Salvini, al primo articolo, cancella la protezione umanitaria e la sostituisce con un coacervo di altre protezioni, circoscritte e confusionarie, di difficile interpretazione e quindi di difficile applicazione.
Partendo sempre dal medesimo assunto, la seconda applicazione non poteva che essere la cancellazione del Sistema protezione richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), e cioè il sistema di accoglienza pubblico che offre maggiori garanzie, sia dal punto di vista della presa in carico della persona e della sua autonomia, che dal punto di vista amministrativo ed economico. Lo Sprar non esisterà più perché verranno espulsi dal sistema tutti i richiedenti asilo, anche coloro che sono considerati vulnerabili: «i disabili, gli anziani, le donne in stato di gravidanza, i genitori singoli con figli minori, le vittime della tratta di esseri umani, le persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali, le persone per le quali è stato accertato che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale o legata all’orientamento sessuale o all’identità di genere, le vittime di mutilazioni genitali». Dallo Sprar vengono espulsi anche coloro che saranno titolari delle sei fattispecie che sostituiranno la protezione umanitaria. Tutti questi soggetti sono destinati a strutture di fatto affidate ai privati, sulle quali si sono concentrati scandali e indagini, a partire dai Cara e dai Cas. Nello Sprar resteranno solamente titolari di protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati.
Il decreto prevede inoltre una stretta virtuale sulle espulsioni, aumentando i periodi di detenzione per l’accertamento dell’identità e per il rimpatrio, prevedendo procedure accelerate, spostando risorse dai rimpatri volontari assistiti ai rimpatri forzati. «Virtuale», dicevamo, perché tra il detenere una persona in un centro per il rimpatrio e procedere all’effettivo rimpatrio c’è di mezzo il mare.
Tra eliminazione della protezione internazionale, smantellamento dello Sprar, investimento nelle espulsioni, ampliamento delle fattispecie per cui può essere revocata la protezione internazionale (vi rientra la minaccia a pubblico ufficiale: se minacci un pubblico ufficiale puoi essere torturato in patria) il finale sembra già scritto: maggiore irregolarità, più persone che cadranno in situazioni di marginalità.
Per concludere, in spregio alla mobilitazione che negli anni scorsi ha percorso l’Italia da sud a nord, il decreto estremizza il concetto di ius sanguinis introducendo la «revoca della cittadinanza», da applicarsi a chi compie reati connessi con il terrorismo. Ma non a tutti: solo a coloro che non sono nati italiani, ma che lo sono diventati. Pensare che la cittadinanza sia una concessione allo straniero e non un diritto acquisito e da riconoscere svela il disegno di fondo: uno straniero non potrà mai essere veramente italiano perché non è nato italiano, perché non ha sangue italiano. Vengono inoltre ampliate le tempistiche e inasprito il tributo dovuto per il riconoscimento della cittadinanza.
Infine, un altro mostro giuridico: al richiedente asilo che dovessero essere investito da un procedimento penale per ipotesi di reato legate alla sicurezza dello Stato (non condannato!) viene bloccato l’iter per il riconoscimento dell’asilo ed è tenuto ad abbandonare il paese. Si configura in primo luogo una violazione dell’art. 27 della Costituzione secondo il quale «L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva» e, inoltre, non si capisce per quale ragione — se il soggetto dovesse realmente rivelarsi colpevole e quindi essere una minaccia per lo Stato — nel frattempo sia stato costretto a lasciare il paese.
Profili di incostituzionalità e la volontà, nemmeno tanto nascosta, di fare a pezzi la parte migliore del sistema di accoglienza, per investire decisamente sulla gestione emergenziale e straordinaria che negli anni scorsi ha creato problemi di tutti i tipi. Ed è proprio sguazzando tra questi problemi che l’attuale ministro dell’Interno ha costruito il proprio consenso.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]