Tutti i rischi della nuova (vecchia) energia nucleare
Puntualmente, nelle discussioni che gravitano attorno alla riduzione ormai necessaria delle fonti fossili per una produzione di energia da fonti rinnovabili, emergono le voci di chi vorrebbe un ritorno al nucleare.
Ci sono gli “entusiasti” del nuovo nucleare, quello di IV generazione che spingono in questa direzione. Peccato che ci siano alcune questioni, sicuramente non di poco conto, irrisolte e che difficilmente troveranno una soluzione nel breve periodo.
Il primo aspetto è il fattore tempo, da leggersi sotto una duplice veste.
Il nuovo nucleare non sarà in grado di produrre energia per tutti prima di parecchi decenni, mentre la transizione ecologica va affrontata oggi e va affrontata seriamente.
La costruzione di una centrale comporta decenni di lavori ma è in primis la localizzazione di un’area idonea a richiedere tempo per una adeguata consultazione e partecipazione delle comunità locali coinvolte (che mai avviene realmente). Tuttavia, la ricerca scientifica sul nucleare di IV generazione è tutt’altro che in discesa: le maggiori criticità emerse riguardano l’uso dei refrigeranti solidi (sodio nel progetto francese, piombo in altri casi) che comportano ulteriori rischi per l’ambiente.
Un secondo aspetto che sembra impossibile da risolvere è quello relativo alle scorie: rimangono pericolose per tantissimo tempo; deve essere trovato un sito idoneo dove stoccarle e il processo di individuazione – anche in questo caso — dovrebbe essere il più trasparente possibile, coinvolgendo sin da subito le popolazioni dei territori potenzialmente idonei. La IV generazione promette di essere più efficiente, con un miglioramento del 60% nell’uso di combustibile, eppure le scorie non possono essere eliminate del tutto e permangono come rischio per l’ambiente e la salute umana per moltissimo tempo, coinvolgendo le generazioni future per centinaia di anni (almeno cinquecento). È questo il caso dello smaltimento e della dismissione delle “vecchie” centrali italiane: i costi sono enormi ma non riguardano solo il nostro presente.
Questa è la negazione della sostenibilità, dato che il concetto stesso di sviluppo sostenibile implica che le scelte più o meno ecologiche che facciamo oggi non devono pesare sulle spalle di chi verrà dopo di noi, verso i quali abbiamo l’obbligo morale di lasciare un pianeta migliore di quello che abbiamo trovato. Anche economicamente parlando!
C’è poi la questione uranio, che come combustibile è una risorsa limitata e assolutamente non rinnovabile. Nel nostro paese non sono presenti giacimenti e quindi correremo il rischio di dover mercanteggiare con qualche “principe del rinascimento” (magari di origine russa) il rifornimento di Uranio, sempre a scapito dei diritti umani.
Se volete c’è poi un aspetto da non trascurare. Stiamo ripetendo da decenni che la vera svolta sta nell’investimento tecnologico, e non solo, verso fonti “rinnovabili” e decisamente sostenibili anche da un punto di vista economico: perché quindi invertire questa rotta verso una fonte esauribile con tutta una serie di costi aggiuntivi non indifferenti come la gestione delle scorie e la dismissione dei reattori?
L’aspetto della sicurezza non va assolutamente sottovalutato.
Recentissime dichiarazioni che assicurano il “rischio zero”, che gli incidenti del passato non si ripeteranno, rimangono solo delle dichiarazioni e nulla più. Il rischio zero non esiste, mai, anche a fronte dell’utilizzo di una tecnologia di ultimissima generazione. Il problema della sicurezza, così come quello delle scorie, non è di certo escluso dall’installazione di centrali di ridotte dimensioni. La costruzione di mini-reattori ha forse incidenza sulla estensione delle aree potenzialmente contaminabili ma non cambia nulla riguardo alla probabilità del rischio.
Tali reattori – nella proposta dei fautori della IV generazione — si potrebbero tranquillamente installare nelle periferie delle città ed essere attivati in caso di necessità o in situazioni particolari. Si potrebbero installare sui treni e sulle navi e pertanto interessare tutti i mezzi di trasporto sulla lunga distanza. A ben pensarci, però, l’effetto sarebbe quello di moltiplicare le occasioni di rischio, esportandolo in contesti diversi, aventi fattori di pericolo diversi e difficilmente preventivabili. Cosa accadrebbe, infatti, in caso di incidente ferroviario, in caso di anomalia dei reattori in una grande stazione, in un grande porto navale, o in qualsiasi altro luogo ad alta frequentazione?
Dal lato del combustibile, questa nuova tecnologia utilizzerebbe Torio al posto dell’Uranio, che pur essendo molto più diffuso sulla terra e anche in Italia, va comunque “estratto” insieme ad altre “terre rare” con una serie di attenzioni e considerazioni ambientali da non sottovalutare. Una zona ricca di torio — ad esempio — è la Val Chiavenna… Immaginate pure cosa significhi in termini ambientali, sociali ed economici ribaltare la situazione attuale – eminentemente montana, agricola e destinata al turismo lento — per “convertire” la Valle all’estrazione del Torio.
Si fa fatica a comprendere dove sia il vantaggio nello sviluppo di questa tecnologia, quanto stiano contando davvero i risultati e le elaborazioni scientifiche rispetto alle mere speculazioni imprenditoriali.
Anche la pericolosità delle scorie prodotte dall’uso del Torio deve essere contestualizzata. Nessuno mette in dubbio che la pericolosità sia, in termini di tempo, inferiore rispetto a quelle di uranio: 300/500 anni contro i 10.000 anni… Ma rimangono pur sempre tempi lunghissimi.
La questione relativa alla salute pubblica è dirimente: il rischio di un incremento dei tassi di tumori e leucemie che già si registrano nei pressi di impianti nucleari verrebbe moltiplicato nei diversi casi di utilizzo dei mini reattori. Le radiazioni saranno pure inferiori ma non possono essere escluse e i rischi non possono essere azzerati.
Ad oggi l’uso del Torio è soltanto un’idea. Non ci sono impianti attivi, forse il primo potrebbe entrare in funzione entro la fine del 2021 in Cina ma non ci sono dati a disposizione riguardo alla sua sperimentazione. Lo stesso dicasi per l’India (dove si vorrebbe fare un grosso investimento per impianti al Torio): anche in questo caso, le informazioni scientifiche non sono state condivise con il resto del mondo. Persino gli Stati Uniti avevano iniziato un percorso di approfondimento sull’uso del Torio ma hanno abbandonato questa strada, in quanto i costi erano troppi rispetto alle certezze positive.
Concretamente oggi non esiste una nomenclatura e una base scientifica reale (se non quella fornita dagli imprenditori che vorrebbero investire in questo settore) e quindi non esistono conferme sugli effettivi guadagni sia per quanto riguarda la realizzazione, la gestione e il mantenimento e più in generale gli impatti ambientali prodotti da queste centrali.
Anche sulla fusione magnetica siamo ancora alla fase sperimentale: dietro gli annunci non c’è molto altro. Ma noi abbiamo bisogno di decidere oggi come azzerare le emissioni di CO2, non tra venti o trent’anni. A quel tempo sarebbe troppo tardi per invertire la rotta della crisi climatica.
Un altro aspetto che deve essere considerato è il valore totale dell’investimento economico. Le centrali nucleari, anche quelle di ultimissima generazione sono economicamente sostenibili? Nel corso dell’ultimo decennio abbiamo visto una crescita esponenziale, con costi di realizzazione e installazione decisamente più bassi, della produzione di energia da fonti rinnovabili — soprattutto solare ed eolico — che ha soppiantato e superato quella prodotta, a costi maggiori, di origine nucleare.
Inoltre va considerato che il nucleare oggi produce a livello globale meno del 6% dell’energia primaria. L’IEA (International Energy Agency) ipotizza una perdita del 25% della capacità del settore entro il 2025 e di 2/3 del totale entro il 2040: per quella data, il comparto nucleare dovrebbe generare “appena” 90 GW annui rispetto ai 280 GW prodotti nel 2018.
Vale la pena investire in questo settore?
Chi si assumerebbe inoltre, in una situazione di libero mercato dell’energia, il rischio economico e d’impresa di fare un investimento del genere? Lo Stato?
Non ultimo, occorre considerare il legame stretto tra nucleare civile e militare. Ciò ha dirette implicazioni sullo scacchiere internazionale e sui fragili equilibri di potere tra gli Stati. Non possiamo assolutamente trascurare questo fattore, soprattutto in un momento come questo dove la pandemia e la crisi sociale, climatica e ambientale che stiamo vivendo sta allargando ulteriormente il divario tra i paesi poveri e la parte ricca del mondo, con conseguenze sulle migrazioni che oggi nessuno è in grado di prevedere. Lo stesso dicasi per l’insorgere di nuove instabilità nel sud est asiatico e in Asia, dove il nucleare è oggi utilizzato solo per usi militari. Se è vero che il Torio risulterebbe “meno idoneo” al settore militare, il caso dell’attacco hacker alla centrale indiana – che impiega questo combustibile — ci dimostra che il settore continua ad avere influenze di tipo strategico come ai tempi della guerra fredda.
Chi parla di nucleare “pulito” forse non ha preso in considerazione tutti i rischi.