[vc_row][vc_column][vc_column_text css=”.vc_custom_1507366257861{margin-top: 20px !important;}”][/vc_column_text][vc_column_text]Ci sono più PD, almeno due, che si aggirano a nord del Po, e che si esprimeranno in maniera diversa al referendum farsa sull’autonomia del 22 ottobre, indetto da Maroni e Zaia per ragioni che interessano solo a Maroni e Zaia. Un uso strumentale, poco costituzionale e poco repubblicano dell’istituto referendario.
C’è un PD che dichiara che il PD si asterrà. E’ rappresentato, in Lombardia, dal segretario regionale del partito, Alessandro Alfieri. «Emerge — ha scritto Alfieri commentando un sondaggio — come la maggioranza degli italiani e dei lombardi consideri questo referendum inutile e costoso e che sarebbe stato meglio aprire direttamente la trattativa con il Governo senza sprecare #50milioni di euro dei cittadini. Esattamente quello che come PD lombardo sosteniamo da tempo». Una posizione che pare essere condivisa dal ministro Maurizio Martina, bergamasco e protagonista del ticket congressuale con l’attuale segretario nazionale del PD, secondo il quale «la via giusta avrebbe dovuto essere quella scelta dall’Emilia Romagna: trattare col governo, evitando il referendum».
Ma c’è un altro bergamasco, sincero Democratico e non meno “renziano” di Martina, e che i democratici vorrebbero nient’altro che prossimo governatore della Lombardia, a schierarsi sul fronte opposto, quello di Maroni. «L’autonomia e i benefici per la crescita e il lavoro per tutti non possono essere strumentalizzati», ha scritto Giorgio Gori, e con lui gli altri sindaci PD (tranne uno) dei capoluoghi di provincia lombardi. E con loro, un’infinità di altri parlamentari. Ad esempio, su cinque parlamentari dem della provincia di Varese, ben tre si trovano nella stessa posizione di Gori. Tra loro Maria Chiara Gadda (responsabile del dipartimento nazionale PD contro gli sprechi alimentari) e Daniele Marantelli (tesoriere del gruppo PD alla Camera e molto vicino al ministro Orlando).
E c’è addirittura chi rilancia: «Mi piacerebbe che anche la Provincia, lo stesso giorno, indicesse a sua volta un referendum, chiedendo a bresciani se vogliono più autonomia, magari la stessa di cui gode la provincia di Trento. Non vorrei mai che si vada a sostituire il sistema centralistico romano con quello milanese». Si tratta di Guido Galperti, deputato bresciano del PD.
Stesso discorso per il Veneto: di ventiquattro parlamentari PD, undici voteranno Sì, otto si asterranno, quattro non hanno ancora deciso (!) e uno non voterà perché non residente in Veneto.
Un partito che non è un partito, una spaccatura netta, tra i vertici democratici lombardi e veneti, che nei fatti propende per dare credito al referendum Maroni-Zaia. Tra questi, il prossimo avversario di Maroni alle regionali, per dire.
Schieratissimo sul Sì, infine, il Movimento 5 Stelle: «Il M5S si è battuto per coinvolgere i cittadini su una possibilità prevista dalla Costituzione: permettere a Lombardia e Veneto di gestire “in casa” molte delle risorse che ora è lo Stato a decidere come spendere», scrivono. Che non è vero, ma tant’è. E ne sono talmente convinti da aver proposto la medesima consultazione anche in Liguria, «una regione dalle potenzialità economiche e turistiche enormi» – spiega il consigliere regionale M5s e primo firmatario della proposta Fabio Tosi: «serve maggiore autonomia politica e amministrativa in grado di sfruttare e liberare quelle risorse oggi soffocate nei gineprai della burocrazia e negli ingranaggi di un potere centrale troppo lontano dalle esigenze peculiari del territorio e dei suoi cittadini». Una palla presa al balzo dal governatore ligure Toti, che ha ricordato come «la maggioranza regionale ligure sia da sempre impegnata sull’autonomia» e la «nostra parte politica sia arrivata prima di tutti gli altri». Poi vince la destra. Dicono.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]