Un anno fa, dopo l’hashtag #Enricostaisereno, la Direzione del PD cambiò verso: era necessario accelerare poiché l’azione politica del governo era troppo lenta. Un anno di governo Renzi. Chissà cosa dicono i numeri.
Mercoledì scorso è stato pubblicato l’interessante documento di Openpolis, “Il Governo al tempo della crisi — gli esecutivi Berlusconi, Monti, Letta e Renzi a confronto”, una analisi statistica comparata sulla “composizione e attività” dei quattro esecutivi che hanno traghettato il paese in questi ultimi cinque anni, il tempo della crisi appunto.
La prima parte del documento si concentra sul confronto della composizione degli esecutivi per età, genere, numero di membri: i quattro diversi governi hanno prodotto ben 82 ministri, 25 viceministri e 133 sottosegretari. Di essi, notoriamente, le donne sono una minoranza (circa il 30% dei ministri, il 4% dei viceministri, il 16% dei sottosegretari). Se da un lato la questione femminile è stata affrontata da Renzi dividendo equamente i 16 ministeri del suo esecutivo, dall’altro la percentuale di donne sottosegretarie è pari a quella del governo Letta (25%). Complessivamente, la numerosità dei componenti dell’attuale governo non è molto diversa da quella del Berlusconi IV (61 membri contro 68 — solo Monti ha operato una drastica riduzione delle poltrone, cancellando quasi la figura del viceministro). In tre casi su quattro — Berlusconi IV, Letta e Renzi — l’età media dei componenti è al di sotto dell’età media di tutti i governi dal 1948 ad oggi (56 anni); ma il numero degli under 40 è lo stesso per Renzi e Berlusconi (3). Monti ha due primati, l’età media più alta (68 anni) e il maggior numero di deleghe a ministri tecnici (13 su 19 ministri).
La parte più significativa dell’analisi è relativa all’attività di governo. Prendendo in esame quattro filoni dell’attività di un esecutivo, ovvero l’attività ordinaria, costituzionale, di bilancio e di conversione dei DL, è stato possibile eseguire un confronto diretto fra gli esecutivi Renzi e Letta (quest’ultimo durato dieci mesi e il primo in carica da ormai un anno): infatti, il volume dell’attività ordinaria (collegati a manovra finanziaria, deleghe al Governo, ratifiche di trattati) di Letta si è attestato a 70 provvedimenti, mentre il governo che ‘va veloce’ ha prodotto sinora un volume di attività ordinaria pari a 56 provvedimenti. Non solo: il governo Letta ha portato all’approvazione ben 30 di quei 70 provvedimenti, mentre Renzi è a quota… uno (su 56!). La conversione dei Decreti Legge non va meglio: su un volume di decreti legge quasi pari (25 vs. 27), Letta ne ha portati ad approvazione 22 (3 respinti dal Parlamento), Renzi 18 (5 sono in discussione, 4 quelli respinti). Il governo veloce era nato un anno fa, e le parole di Renzi non lasciavano adito ad interpretazioni: un «rilancio radicale», l’apertura di una «pagina nuova», per uscire«tutti insieme dalla palude». E’ davvero così?
Altri numeri rivelano la drammatica paralisi delle aule parlamentari. Le iniziative di origine parlamentare che diventano leggi dello Stato sono appena il 18% nel periodo del governo Renzi, l’11% con Letta (la paralisi delle aule fu totale con Letta, considerato il numero esiguo di leggi approvate in quei dieci mesi, pari a 4): erano il 20% sotto Berlusconi, ben il 32% con Monti, periodo felice se si considera anche la percentuale di successo dell’iniziativa legislativa parlamentare, la più alta del periodo considerato, pari al 2,62%.
Tuttavia i numeri non bocciano completamente il bicameralismo italiano: il tempo medio di approvazione di una legge di iniziativa del governo, nelle ultime tre legislature è 115 giorni (nella legislatura XIII — quella dell’Ulivo — era pari a 271 giorni); l’iniziativa parlamentare ha una prestazione peggiore (233 giorni per l’approvazione di una legge), ma se prendessimo a riferimento nuovamente la XIII Legislatura, il miglioramento è significativo (494 giorni; -47%!).
Renzi ha richiesto sinora ben 30 voti di fiducia, contro i dieci di Letta: il rapporto fra voti di fiducia e leggi approvate è risalito come nel periodo del governo Monti (45,13%; Renzi 44,78%), ma in generale la tendenza alla crescita di questo indicatore si è affermata già con il governo Berlusconi III: la crisi ha sollecitato l’abuso dello strumento, per accorciare i tempi della discussione parlamentare e, in troppi casi, per cancellarla del tutto.